Storia dell'omosessualità a Perugia

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L'antichità[modifica]

Le glandes perusinae[modifica]

Le glandes perusinae.

Le cosiddette glandes perusinae (letteralmente: "ghiande di Perugia"[1]) costituiscono un gruppo di proiettili in piombo che nel 41/40 a.C. durante la guerra civile romana si scagliarono addosso a vicenda gli eserciti di Marco Antonio e di Ottaviano Augusto, il quale ultimo assediò ed espugnò Perugia. Su questi proiettili, in materiale pesante ma tenero da incidere, a volte i frombolieri scrissero insulti (per lo più a carattere sessuale) rivolti contro il nemico: se ne trovano sia contro Ottaviano, sia contro Marco Antonio, sia contro le loro partner femminili.
Ritrovate dagli archeologi e studiate per le testimonianze di lingua che riportavano[2], sono oggi esposte al Museo archeologico nazionale di Perugia.
Per quanto non riguardino in modo diretto la storia dell'omosessualità, costituiscono comunque uno dei molti esempi di come l'insulto sessuale, e in particolare omofobico, sia stato ritenuto per secoli uno dei peggiori che potesse essere scagliato contro un nemico[3].
Fra le iscrizioni ne appaiono alcune che dicono:

  • 58: "cerco l'ano di Ottaviano" (peto Octavia<ni> culum);
  • 60: "salve Ottaviano, tu lo succhi" (salve Octavi felas);
  • 61: disegno di fallo e scritta: Octavi lax<e> ("Ottaviano sfondato");
  • 62: scritta: Octavi laxe. Disegno di fallo e scritta: sede ("siediti sopra");
  • 65: "L. Antonio il calvo e Fulvia, spalancate il didietro" (culum pandite);
  • 89: scritta molto rovinata, forse: patice ("sodomita passivo").

Medioevo e Rinascimento[modifica]

La fama[modifica]

Nel periodo postclassico Perugia condivise con Firenze la fama di città particolarmente incline alla sodomia. Ciò si può im parte attribuire alla precoce presenza di una sottocultura sodomitica, di cui si hanno tracce fin dal Duecento, che a sua volta presuppone un atteggiamento relativamente benevolo della cultura locale, al pari di quanto si osserva a Firenze o a Lucca.

In effetti in questa città riuscì a fiorire nei primi decenni del Trecento un fenomeno letterario unico nella storia della nostra letteratura: un'intera cerchia di poeti (Cecco Nuccoli, Marino Ceccoli, Gilio Lelli, Trebaldino Manfredini ed altri) che o cantarono l'amore fra uomini o vi scherzarono su nelle loro poesie.
Così per esempio scrive Cecco Nuccoli, assente da Perugia, al suo amato Trebaldino Manfredini (si noti che molti plurali in "i" qui sono in "e"):

« Po' che nel dolce aspetto abbandonai,

e legai l'alma nei vostri costume,
o signor, de mia vita guida e lume,
prima ch'io mora vederovv'io mai?
Io me partìe da voi e 'l cor lassai,
onde convèn che sempre io me consume;
e ben ch'io sparga de lagreme fiume,
pianger non posso, che me paia assai.
Non serà mai piager che mi contente,
né ch'ai dogliose spirte done pace,
fin ch'io non veggio voi, signor verace.
Ma questa angossa che così me sface,
signore, or ve ricorda il cor servente:
che, poi ch'è il vostro, non v'esca de mente[4]»

La cattiva fama dei perugini risalirebbe addirittura al XIII secolo, almeno a dar retta alla biografia del condottiero Castruccio Castracani (1281-1328) scritta nel 1520 da Niccolò Machiavelli, che attesta che il Castracani,

« sendogli significato [detto] come uno forastiero aveva guasto [stuprato] uno fanciullo, disse: "E' deve essere uno perugino"[5] »

Non fu insomma per mero caso se Giovanni Boccaccio (1313-1375) ambientò a Perugia la celebre novella V, 10 del Decamerone, che mette in scena un mercante perugino, Pietro di Vinciolo (probabilmente basato su un personaggio realmente esistito), che porta a disperazione la giovane moglie perché ama solo i ragazzi, e non le donne[6].

E il poeta fiorentino Antonfrancesco Grazzini (1503-1584), in un epitaffio burlesco, definisce un certo Gherardino, in rima, "soddomita più ch'un perugino"[7].

Ancora nel 1543/44 una pasquinata romana finge che ambasciatori di Camerino portino in dono un paio di braghe di "acciaio fino" ad Ottavio Farnese, nipote del papa Paolo III Farnese (allora in guerra contro Perugia), beffeggiato costantemente dalle pasquinate come bersaglio dei sodomiti per la sua giovanissima età:

« Lascia pur dir chi vuole,

tu sai che i perugin son buggiaroni,
e che lor van dietro a' buon bocconi.
Il fanciul è de' buoni,
e con due carezzine, o finte, o vere,
si lassarebbe rompere il sedere[8]»

Le rime straordinariamente esplicite e dettagliate di Francesco Beccuti, detto "il Coppetta" (1509-1553, sul quale si veda la voce apposita), permettono di riconoscere nuovamente i tratti di una vera e propria sottocultura sodomitica nella Perugia del Cinquecento, con una cerchia di frequentazioni legata alla protezione della nobile e potente famiglia dei Baglioni e, nel caso del Beccuti, di un altro personaggio legato a Perugia noto per i suoi gusti omosessuali, quel papa Giulio III Dal Monte (1487-1555), la cui statua bronzea campeggia oggi sul fianco della Cattedrale di San Lorenzo.
Curiosamente, anche un altro papa di gusti omosessuali, Giulio II Della Rovere (1443-1513), aveva studiato a Perugia, presso il convento francescano.
Un ultimo studente legato a Perugia fu uno dei poeti del Rinascimento più espliciti sul tema della sodomia, Pacifico Massimo d'Ascoli (1406-1506):

« Certo è che poverissimo e poco badato lo troviamo nel 1459 a Perugia, studente di giurisprudenza nel collegio gregoriano della Sapienza vecchia[9]»

Quale potesse essere l'atmosfera di questi luoghi di studio lo rivela lo scandalo scoppiato nel 1586, quando il palazzo dell'ex Seminario (in piazza IV Novembre, accanto alla "Loggia del Braccio") fu teatro d'una vicenda dai contorni boccacceschi, di cui fu protagonista un certo Rinieri Franchi, canonico del Duomo, che fu condannato a morte:

« A' dì 25 di detto settembre, in giovedì, papa Sisto detto [Sisto V], in Perugia fece impiccare et ardere messer Rinieri perugino, del casato de' Franchi, canonico del Duomo, uomo litterato, d'età d'anni 56, per aver più volte scalato le mura del seminario di detta Perugia, per conto di soddomia[10]»

Il Rinieri era stato sorpreso nottetempo mentre con una scala di seta tentava di scendere da una finestra del Collegio dei seminaristi, evidentemente dopo un incontro amoroso con il suo amante, uno studente.
Dopo l'arresto fu condotto in carcere, fu giudicato colpevole dal tribunale ecclesiastico e successivamente subì la cerimonia della degradazione per mano del vescovo Ercolani in una funzione, descritta come spaventosa e lugubre, celebrata nella sagrestia del Duomo di Perugia il 15 settembre 1586. Al termine fu consegnato dal vicario del vescovo alla Corte criminale secolare e condotto nuovamente in carcere. La mattina successiva, il 16 settembre 1586, venne impiccato in Piazza del Sovramuro, in fondo alla Via Nuova (l'odierna Piazza Matteotti, in pieno centro, com'era usanza all'epoca) e il cadavere fu bruciato in loco.
Franchi fu condannato per aver non solo commesso il "delitto contro natura" con un alunno del Seminario, ma per averlo commesso "convintamente", il che implica che il reato non fu occasionale o sporadico, ma protratto nel tempo e consuetudinario[11].

Un altro poeta perugino che utilizzò apertamente la tematica omosessuale[12] nelle sue rime[13], in genere burlesche, fu Cesare Caporali (1531-1601), che però a differenza del Beccuti passò gran parte della sua vita fuori dall'Umbria, presso le corti di altissimi prelati, compresa quella di Giulio III, salvo poi tornare a Perugia negli ultimi anni della sua vita.

La repressione[modifica]

Quanto sopra detto non vuol dire che mancassero azioni da parte delle autorità per reprimere e punire i sodomiti, anzi.

1293[modifica]

Addirittura, secondo i cronisti il caso volle che avvenisse proprio a Perugia[14], il 13 luglio 1293, la prima esecuzione capitale per sodomia documentata in Italia[15]. Carlo II d'Angiò, re di Napoli, condannò infatti in quella data a Perugia Adenolfo IV, conte di Acerra, come sodomita e lo fece impalare, e ne fece bruciare il cadavere:

« "In questo anno, essendo insieme il re Carlo [II d'Angiò, re di Napoli, 1248-1309] e lo re d'Ungaria [suo figlio Carlo Martello d'Angiò, sec. XIII-1296], e andavano a corte di Roma, quando fuoro [furono] a Perugia, die XIII di lulglo, il re Carlo fece pilgliare il conte dell'Acerra, per certa malivolglenza [inimicizia] che lli portava secretamete, ed apuoseli [lo accusò] ch'elli era soddomito, ed uno palo li fece ficcare per la natura disotto [nell'ano], ed ispicciolli [e lo fece uscire] per la bocca, e come un pollo il fece arostire"[16]»

1342[modifica]

Nel 1342 Perugia si diede un minuzioso statuto[17] che stabiliva che chi fosse condannato per sodomia la prima volta pagasse una multa di duecento lire, la seconda di cinquecento (e se non avesse avuto di che pagare fosse bruciato) e la terza volta fosse comunque bruciato.
Per applicare questa legge il comune di Perugia creò addirittura una vera e propria polizia segreta: quaranta "buoni uomini" della città e dei borghi, otto per porta, che fossero guardiani segreti per sorvegliare e denunciare per iscritto in una bussola (bussolotto, cassetta di legno) i sodomiti. Nemmeno costoro dovevano conoscere l'uno il nome dell'altro!
A riprova dell'importanza della "fama" nella città antica, ma anche della sia pur parziale "visibilità" dei sodomiti antichi, il delitto sarebbe stato considerato provato se fossero trovate nella bussola otto denunce segrete scritte contro la stessa persona. Qualora se ne fossero trovate da cinque in su, allora le altre autorità avrebbero devono indagare sull'accusato e, verificata che fama avesse, torturarlo per ottenere la verità, e condannarlo.

1348 ca.[modifica]

La vera e propria campagna scatenata dai cattolici contro i sodomiti è testimoniata da una lauda anonima del 1348, ossia un testo da cantare in coro andando in processione per le vie della città, che fra le altre cose afferma:

« D'un altro vizio me lamento,

qual non degno nominare:
veggol per le piazze pento,
che Sodoma fe' 'nabissare.

Peruscin, quanto più tardo,
sarà più dur ferir del dardo.

Signor, ben te confessamo
che c'è quil peccato brutto;
se alquanto aspette, mo' fermamo
che se corregga e spenga en tutto.

Enduzia, benegno padre,
e tu 'l ne priega, dolce madre[18]»

(Parafrasi: D'un altro vizio mi lamento, / tale che non mi degno di nominarlo: / lo vedo dipinto per le piazze, / ed è quello che fece sprofondare Sodoma (sotto le acque del Mar Morto). // Perugino, quanto più tarderà ad arrivare, / tanto più sarà dura la punizione divina. // Signore, ti confessiamo / che qui c'è quel brutto peccato; / ma se aspetti un poco, stabiliremo che / sia corretto e spento del tutto. // Trattieniti, benigno padre, / e tu pregalo, dolce madre).

1438[modifica]

Nel 1438, il santo predicatore Bernardino da Siena rinfacciò ai perugini la loro propensione per la sodomia:

« Adì 27 de setembre, in dominica, predicò frate Berardino in piazza, et anco predicò al lunedì: et predicò della ingratitudine (...) e che in ogni modo noi eravamo ingrate (sic) a non emendarne delli peccati, maxime el peccato della sodomya[19]»

1445[modifica]

Queste azioni, palesemente, non bastarono, tanto che nel 1445:

« Adì 13 de aprile fo bandito con 4 trombe per parte de Monsignore predito[20] che qualunche persona sapesse che persona alcuna facesse el mistiero o arte della sodomya, che lo debbia revellare alla corte, et lo accusatore averà fiorini 10 dalla camera apostolica, et ogni persona ne possa essere accusatore[21]»

Epoca moderna[modifica]

Nel Settecento Perugia fu teatro di una parte della breve vicenda terrena di Caterina Vizzani (1719-1743), che fuggita da Roma qui visse per due o tre anni, sempre travestita da uomo e col nome di Giovanni Bordoni. La Vizzani a Perugia lavorò per un non meglio specificato "vicario":

« Buonissimo servigio il Vicario da questo Giovanni ritraeva, perciocché sapea convenevolmente cucinare, far la barba, pettinare le parrucche, mescere il cioccolatte, leggere e scrivere, in somma non era cosa che ad un buon servidore appartenesse che convenevolmente non facesse, o d'intraprendere non s'argomentasse. Un solo difetto il Vicario, che era uomo assai severo, in lui riprendeva, che troppo le femmine vagheggiava, e in questo troppo disonesto gli parea; perciocché Giovanni per essere più grato alle Donne in tutto un maschile portamento, e un libero parlare usava. Anzi per parere uomo da vero un bel Piuolo di Cuojo ripieno di Cenci s'era fatto, che sotto la camiscia teneva, e talora, ma sempre coperto a suoi Compagni per baldanza di soppiatto mostrava, per cui in Anghiari in poca d'ora corse fama che Giovanni nel fatto delle femmine più d'ogni altro valesse, la qual fama egli a caro grandemente aveva che si spargesse[22]»

Gli scandali in epoca fascista (1928-1945)[modifica]

Nel 1928 Perugia fu teatro dello scandalo in cui Fernanda Bellachioma, componente di una famiglia della borghesia cittadina molto nota nella Perugia del tempo, fu accusata dal marito d'una certa Violet Righetti-Collins di averle sedotto la moglie, ragione per cui egli chiese la separazione e successivamente ottenne perfino l'annullamento del matrimonio per impotentia coeundi della moglie.
Lo scandalo fu intenzionalmente gonfiato dal marito stesso allo scopo di ottenere la separazione per colpa della donna (e quindi non essere tenuto al suo mantenimento), e diede luogo a un fitto scambio di memorie processuali[23].
Le autorità fasciste, di fronte al clamore destato dal caso, furono costrette a intervenire, condannando la Bellachioma al confino politico (unico caso durante il Ventennio in cui la misura abbia colpito per motivi legati all'omosessualità una donna anziché un uomo).
Tuttavia la condannata fece ricorso, rifugiandosi a Roma in attesa della sentenza, e grazie ai suoi mezzi economici, attraverso una serie di manovre giudiziarie dilatorie, e verosimilmente anche pressioni politiche, riuscì infine a non partire per il confino. Calmatesi le acque, dopo qualche anno, riuscì addirittura a convivere con Violet, a Roma. Il caso è stato studiato da Nerina Milletti[24].
Le autorità fasciste inviarono inoltre al confino comune alcuni uomini perugini accusati di far parte di una "cerchia di pederasti"[25].

Sandro Penna (1906-1977)[modifica]

A Perugia, in via Mattioli 7, nacque il poeta Sandro Penna il 12 giugno 1906. Solo nel 1916 la famiglia trovò un alloggio stabile, in via Vermiglioli 5, dove resterà fino al 1927[26].
Il padre aveva un negozio di mercerie in via Mazzini 12, nel quale il giovane Penna dava saltuariamente una mano.
Nell'ottobre 1928 Penna si trasferì per sempre a Roma, dove già abitava la madre, separata dal marito, e dove visse tutto il resto della sua vita.
Nel periodo vissuto a Perugia Penna non aveva ancora iniziato a scrivere poesie, e questo perché prima del fatidico 1928 non era ancora riuscito a risolvere bene la problematica della sua omosessualità. Egli rivelò infatti in un'intervista:

« Questo scrivere versi coincise con la scoperta del mio amore. Non per un amore, però. In Gide, credo, c'è la descrizione esatta di questo mutamento. Io sentii proprio come uno che ha le orecchie piene d'acqua e poi finalmente, quando non se l'aspetta, comincia a risentire bene, si sente libero, come un'altra persona, quasi avesse fatto una convalescenza felice; o tutt'e due le cose insieme. Allora del resto, non ero giovanissimo: avevo ventidue anni[27]»

Quanto la vita in provincia avesse tarpato la sua sessualità e la sua vita lo rivelò Penna stesso:

« Basta l'atmosfera tutta di questa città per agghiacciarmi ormai ogni mia folle e bella decisione.

Vorrei non esserci mai stato. Sento che per tanti anni la vita di questa città e della mia casa ha troppo pesato su di me: ha per lo meno ritardato e falsato quello che era il mio vero sviluppo. Penso che solo per un miracolo ho potuto, ho saputo vedere altri orizzonti[28]»

A questo proposito Elio Pecora ha osservato:

« La scoperta della sua sessualità e della sua arte avviene contemporaneamente, "altrove": a Roma, e a Porto san Giorgio presso l'amico Acruto Vitali, che gli aveva fatto conoscere autori omosessuali quali Rimbaud e Proust e gli era intimo fin dal 1925[29]»

È ambientata sulla spiaggia di Porto san Giorgio la prima "vera" poesia di Penna, il 24 agosto 1928 (Penna datava scrupolosamente tutte le sue poesie), che fra l'altro dice:

« Ma ricordarsi la liberazione

improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l'azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore[30]»

Meno di due mesi dopo questi versi Penna era definitivamente a Roma.

Nel 1943 un ritorno di Penna in città, dopo quattordici anni d'assenza, sarebbe servito solo a fargli notare la differenza tra la facile disponibilità all'adescamento omosessuale dei ragazzi romani, a fonte di quella che egli giudica la totale chiusura di quelli perugini:

« Potrei seguitare l'elenco di cose aride e sfatte. I ragazzi qui non rispondono, non sentono nemmeno. Si può far tutto senza che vedano. Mi siedo sfinito in una via lunga dove passa fra due mura ogni tanto una sola persona. Se è una donna allora sì che risponde, ma senza alcuna domanda a cui rispondere. E' assai triste, ma per lei; un po' buffo anzi[31]»

Questo ritorno alle origini è addirittura per Penna occasione per una riflessione sull'influenza che ha l'ambiente nella maggiore o minore facilità di vivere gli amori omosessuali, nonché sull'universalità potenziale del desiderio omosessuale come scrive in questa lettera del 2 agosto 1943, scritta durante una riflessione notturna mentre alloggiava in Piazza Giordano Bruno:

« A Roma non c'è dubbio che nel popolo esiste questo amore, ora più ora meno cosciente, ora più ora meno forte secondo le circostanze pratiche. Ma qui [è] davvero quasi sconosciuto. Qui forse veramente le sole circostanze formano questo sentimento, che mi pare in genere del tutto assente. Ma allora perché non pensare che a Roma, o in altri luoghi simili, meridionali, ecc., le circostanze molto più forti abbiano operato tutto? O, viceversa, perché non pensare che qui a Perugia, o in altri luoghi simili, la mancanza delle circostanze lasci incosciente un sentimento normale? Io stesso, vissuto sempre qui al riparo da ogni circostanza, avrei forse scoperto niente? (...) Non esiste forse nulla se non gli si dà un nome? E esiste tutto, che non esiste finché non ha un nome[?][32]»

Nascita del movimento gay[modifica]

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Note[modifica]

  1. Klaus Rosen, Ad glandes Perusinas (CIL I 682 sqq.), "Hermes", CIV 1976, pp. 123-124, nota che i proiettili da fionda fossero detti "glandae", come il "glande" del pene. Usarli per metafore sessuali era perciò piuttosto ovvio per gli antichi soldati.
  2. Il testo latino delle iscrizioni delle glandes si trova sul Corpus inscriptionum latinarum, Reimer, Berlin 1901, vol. 11, 2, 1, ed anche nel volume VI dell'Ephemeris epigraphica, Reimer, Berlin 1885, pp. 52-78. La numerazione qui seguita è quella dell'Ephemeris. Lo studio più recente sulle glandes è: Lucio Benedetti, Glandes Perusinae, revisione e aggiornamenti, Quasar ed., 2012.
  3. All'ideologia e alla mentalità sottesi da questi reperti dedica un saggio Judith Hallett, Perusinae glandes and the changing image of Augustus, "American journal of ancient history", II 1977, pp. 151-171.
  4. FONTE: *****.
  5. Niccolò Machiavelli, Vita di Castruccio Castracani [1520]. In: Tutte le opere, Sansoni, Firenze 1971, p. 628.
  6. Su questa novella si vedano i preziosi contributi di Domenico Conoscenti: "La 'tristezza' di Pietro di Vinciolo. Note per una lettura della novella V 10 del Decameron", in: G. M. Rinaldi (cur.), Esercizi, :duepunti edizioni, Palermo 2007, pp. 9-34, e: Fra mala ventura e fuoco dal cielo: la sogdomia in Decameron V 10 e nelle Esposizioni sopra la Comedia, "Heliotropia", V 2008 (1-2).
  7. Antonfrancesco Grazzini, Rime burlesche, Sansoni, Firenze 1882, p. 608.
  8. Valerio Marucci, Antonio Marzo e Angelo Romano (a cura di), Pasquinate romane del Cinquecento, Salerno, Roma 1983 (2 voll.), pp. 604-605.
  9. Carmelo Calì, Pacifico Massimi e l'Hecatelegium, Giannotta, Catania 1896, p. 8.
  10. Agostino Lapini (1515-1592), Diario fiorentino, Sansoni, Firenze 1900, p. 255.
  11. Serafino Siepi, Descrizione di Perugia. Annotazioni storiche, Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, Perugia 1994, p. 306.
  12. Analizzata in uno studio di Danilo Romei presentato in un seminario a Tours nel 2011, di cui si ha notizia qui: Sergio Bertelli, Notizie, “Archivio storico italiano”, CLXIX 2011, pp. 622-623.
  13. Sulle quali si veda ora: Danilo Romei (a cura di), Antologia della poesia omoerotica volgare del Cinquecento, a cura di Danilo Romei, banca dati "Nuovo Rinascimento", 2008, alle pp. 276-288. Vedi anche: Danilo Romei, "Saggi di poesia omoerotica volgare del Cinquecento", in: Elise Boillet e Chiara Lastraioli (a cura di), Extravagances amoureuses: l'amour au-dela de la norme à la Renaissance, Champion, Paris 2010.
  14. In realtà la condanna avvenne fuori d'Italia, dopo che la vittima era stata attirata con le lusinghe nei dominii francesi degli Angiò, visto che le pressioni papali erano già riuscite a salvarla da un processo per tradimento. Oltre a ciò, in questa condanna l'aspetto politico fu prevalente, come lo fu la scelta di condannare per un reato su cui non era possibile l'appello alla giustizia ecclesiastica. La vicenda è analizzata nel dettaglio da: Jean Dunbabin, Treason, sodomy, and the fate of Adenolfo IV, count of Acerra, "Journal of medieval history", XXXIV 2008, pp. 417-432 e: Serena Morelli, "Ad extirpanda vitia". Normativa regia e sistemi di controllo sul funzionariato nella prima età angioina, "Mélanges de l'École française de Rome. Moyen-Âge", CIX 1997, pp. 463-475.
  15. Nell'Alto Medioevo, a quanto sappiamo, la sodomia era punita per lo più con penitenze spirituali: fu il XIII secolo a rimettere in vigore la pena di morte, che era stata stabilita dagli ultimi imperatori romani: la prima esecuzione finora documentata in Europa avvenne a Basilea nel 1277.
  16. Anonimo, Cronica fiorentina del sec. XIII, in: Alfredo Schiaffini (a cura di), Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, Sansoni, Firenze 1926, p. 139.
  17. Statuti di Perugia dell'anno MCCCLII. In: Corpus statutorum italicorum, Loescher, Roma 1914-1916, vol. 9, tomo 2, pp. 79-80, par. 62.
  18. Il testo è copiato da: Ignazio Baldelli, Lingua e letteratura di un centro trecentesco: Perugia, "La rassegna della letteratura italiana", LXVI 1962, pp. 3-21, a p. 7.
  19. Anonimo, cosiddetto Diario del Graziani, in: "Archivio storico italiano", XVI, 1850, parte I, p. 434.
  20. Mesere Domenico de Capraneca, legato della Marca.
  21. Anonimo, cosiddetto Diario del Graziani, in: "Archivio storico italiano", XVI, 1850, parte I, p. 568.
  22. Giovanni Bianchi, Breve storia della vita di Catterina Vizzani, Occhi, Venezia 1744, pp. 7-8. Citato in Daniela Danna, Amiche, compagne, amanti. Storia dell'amore tra donne, Mondadori, Milano 1994, pp. 53-56; la citazione di questo passo è alle pp. 54-55
  23. Esiste addirittura una memoria a stampa di ben 84 pagine sulla vicenda: Avvocato Andreaeni, In difesa della sig.a Violet Righetti-Collins contro il prof. Righetti, comparsa di replica, Stabilimento tipografico G. Benucci, Perugia 1928
  24. Nerina Milletti, "Accuse innominabili. Lesbismo e confino di polizia durante il fascismo", in: Nerina Milletti e Luisa Passerini (a cura di), Fuori della norma. Storie lesbiche nell'Italia della prima metà del Novecento, Rosenberg e Sellier, Torino 2007, pp. 135-169. ISBN 978-8870119978.
  25. Entrambe queste vicende sono attualmente allo studio: i risultati verranno pubblicati dal gruppo "Omphalos".
  26. Sui frequenti cambi d'indirizzo della famiglia Penna vedi Elio Pecora (cur.) Sandro Penna: appunti di vita, Electa editori umbri, Perugia 1990 pp. 39 e 92. Il libro è ricco di fotografie, inclusa una della casa natale, a p. 42.
  27. Elio Pecora (cur.) Sandro Penna: appunti di vita, Electa editori umbri, Perugia 1990, p. 55.
  28. Elio Pecora (cur.) Sandro Penna: appunti di vita, Electa editori umbri, Perugia 1990, p. 35.
  29. Elio Pecora (cur.) Sandro Penna: appunti di vita, Electa editori umbri, Perugia 1990, p. 39.
  30. Sandro Penna, Poesie, Garzanti, Milano 1973, p. 3.
  31. Elio Pecora (cur.) Sandro Penna: appunti di vita, Electa editori umbri, Perugia 1990, p. 63.
  32. Elio Pecora (cur.) Sandro Penna: appunti di vita, Electa editori umbri, Perugia 1990, p. 63.

Voci correlate[modifica]

Bibliografia[modifica]

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