Differenze tra le versioni di "Moti di Stonewall"

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==Gli eventi della notte==
 
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Il bar nel settembre 1969.
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Gli eventi ebbero inizio nella notte del 27 giugno 1969, alle ore 1:20, quindi tecnicamente nella primissima mattina del 28 giugno, che per questo motivo è oggi indicata come data dei moti[5].
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La polizia si presentò in Christopher street 51-53[6] allo "Stonewall Inn", un "circolo privato" dotato di due bar e due sale da ballo, per accedere al quale era necessario pagare un biglietto d'ingresso (tre dollari).
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Secondo l'analisi che Dick Leitsch (giornalista e allora presidente della "Mattachine society" di New York) scrisse "a caldo", immediatamente dopo i fatti, per il bollettino della "Mattachine society"[7], questo locale era punto di riferimento per una clientela altrove emarginata, costituita da drag queen (alcune delle quali prostitute e tossicodipendenti) e da minorenni sbandati, molti dei quali cacciati di casa perché omosessuali, che vivevano di espedienti, fra prostituzione e droga.
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Costoro trovavano nello "Stonewall" (che una volta pagato il biglietto d'ingresso permetteva di trascorrere anche l'intera notte senza obbligo di consumare) la possibilità di passare la notte al caldo, o d'incontrare qualcuno che li portasse a dormire a casa propria. E la mafia notoriamente non ha mai avuto obiezioni contro la prostituzione minorile.
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Si aggiunga poi il fatto che era proibito servire alcolici ai minorenni, che quindi erano esclusi dagli altri luoghi di socialità gay più attenti al rispetto della legge. Ebbene, secondo il parere di Leitsch fu proprio questo gruppo di persone, bersaglio privilegiato della repressione poliziesca, a reagire con la forza alla retata[8]. La sola foto dei moti della prima notte pubblicata ritrae proprio i "ragazzi di strada" alle prese con i poliziotti.
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File:Stonewall riots.jpg
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I "ragazzi di strada" e la polizia. Foto di Joseph Ambrosini dal "New York Daily News" del 28 giugno 1969.
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Particolarmente interessante è il modo in cui la stessa Sylvia Rivera (all'epoca diciassettenne) caratterizzò lo "Stonewall Inn", che confuta l'immagine leggendaria di locale per drag queen di colore:
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« Ciò che la gente fatica a capire è che lo Stonewall non era un bar per drag queens. Era un bar per maschi bianchi, in cui uomini di classe media potevano rimorchiare ragazzi giovani di varie razze. Pochissime drag queens vi erano ammesse, perché se avessero ammesso le drag queens nel circolo privato, ciò avrebbe svalutato la sua immagine. E ciò avrebbe creato maggiori problemi al circolo. La mafia la pensava in questo modo, ed anche i clienti la pensavano così. Perciò le queen a cui era permesso entrare, fondamentalmente avevano conoscenze lì dentro. Io ci andavo a prendere droga da consumare altrove. Avevo conoscenze lì dentro[9]. »
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Così, quando dodici tra impiegati e clienti furono fermati e allineati fuori dal locale in attesa dell'arrivo del furgone cellulare, una donna lesbica (Stormé DeLarverie affermò di essere stata lei) gridò di fare qualcosa alla folla radunatasi fuori dal bar, scatenando un lancio d'oggetti che si trasformò in un attimo in una sassaiola (nelle adiacenze c'era un cantiere edile aperto). Ciò costrinse i poliziotti a barricarsi dentro al locale e a chiamare rinforzi, il cui arrivo non fece altro che incendiare ulteriormente gli animi, dando inizio agli scontri fisici tra poliziotti e passanti (molti dei quali non erano fra i clienti di quella sera dello "Stonewall").
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Un aspetto oggi poco discusso ma presente nella ribellione fu poi l'esasperazione contro il duopolio esercitato da polizia e mafia sui locali gay. I prezzi erano esorbitanti e gli alcolici serviti annacquati e preparati in condizioni igieniche precarie (il barista dello "Stonewall" dal bancone non aveva accesso all'acqua corrente per lavare i bicchieri). E le voci accusavano i gestori del locale di praticare estorsione e ricatto ai danni di clienti gay facoltosi, tanto che la guida gay della Mattachine society" avvisava di non firmare all'ingresso con il vero nome. Secondo Phillip Crawford, autore di un libro sui rapporti fra mafia e locali gay:
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« Lo sfruttamento della comunità gay da parte della mafia fu una delle ragioni delle proteste del 1969 fuori dallo Stonevall Inn. Anzi, dopo le proteste di Stonewall, uno degli obiettivi principali dei gruppi di attivisti come la Gay Activists Alliance e il Gay Liberation Front fu la cacciata del crimine organizzato dai bar gay[10]. »
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E sia Martin Duberman (pp. 205-206) che Donn Teal (pp. 8-9) riferiscono che la coppia gay formata da Craig Rodwell e Fred Sargeant già la mattina successiva agli scontri produsse e distribuì 5000 volantini che chiedevano: "Get the Mafia and the cops out of gay bars, "Fuori la mafia e gli sbirri dai bar gay". In essi veniva chiesto espressamente il boicottaggio dello "Stonewall" e degli altri bar gestiti dalla mafia.
  
 
==Lo "Stonewall" dopo i moti==
 
==Lo "Stonewall" dopo i moti==

Versione delle 08:36, 25 mar 2024

L'edificio dello Stonewall bar nel 2003..

I moti di Stonewall (Stonewall riots o Stonewall rebellion) è il nome con cui convenzionalmente si indica il confronto avvenuto nella città di New York fra polizia e manifestanti gay e trans, per cinque sere non consecutive, nelle notti di venerdì 27, sabato 28, domenica 29 giugno 1969 e, dopo due giorni di pioggia e di pausa, nelle notti di mercoledì 2 e giovedì 3 luglio 1969. Il confronto ebbe momenti violenti di vero e proprio scontro fisico. Questa rivolta divenne in breve tempo un evento simbolico nella lotta contro le discriminazioni degli omosessuali, e non solo.

L'episodio che scatenò le proteste fu l'incursione nel bar gay "Stonewall Inn", dal quale i moti prendono il nome, la notte del 27 giugno.

Il contesto

Durante gli anni del Maccartismo e del lavender scare, la repressione dei luoghi d'incontro omosessuale, che a New York era fiorenti sin dalla seconda metà dell'Ottocento[1], si era intensificata. Nello Stato di New York le intenzioni repressive della polizia si scontravano con l'assenza di una legge che permettesse di chiudere un locale solo perché frequentato da omosessuali; a ciò suppliva però la compiacenza omofobica dell'ufficio preposto alla concessione delle licenze di spaccio di alcolici, la "State Liquor Authority", che aveva preso l'abitudine di togliere o negare la licenza a tutti i bar giudicati pericolosi per la morale pubblica. Il movimento omofilo aveva però sfidato in tribunale questo comportamento, ottenendo sentenze che sancivano che non esisteva nessuna legge che autorizzasse a negare la mescita di alcolici a qualcuno solo perché omosessuale, ma questo non aveva reso più malleabile la State Liquor Authority, che continuava e a negare o togliere le licenze ai locali gay sotto vari pretesti.

Per questa ragione i locali diretti alla clientela omosessuale tendevano o ad operare senza licenza, cosa che li esponeva ai "giustificati" raid della polizia, o ad essere posseduti e gestiti dalla mafia, che aveva i mezzi per corrompere la polizia[2].

Per aggirare la legge i bar gay operavano come bottle bars, ossia come "circoli privati" in cui teoricamente i clienti avrebbero portato loro le bevande da casa. All'ingresso bisognava dare il proprio nome (ma non veniva chiesto un documento d'identità per verificarlo) e firmare il libro degli ospiti.

Le mazzette pagate dalla mafia non servivano comunque a garantire che i locali non sarebbero stati razziati, e tanto meno che i clienti non sarebbero stati arrestati, ma solo che la polizia avvertisse prima dei raids (in modo da far sparire quanto andava occultato o salvato) e che non sarebbero stati messi i sigilli ai locali, che in questo modo avrebbero potuto riaprire immediatamente dopo la razzia.

Allo scopo di minimizzare le perdite causate dai sequestri, inoltre, i bottle bars conservavano pochissime bottiglie di superalcolici dietro al bancone; le scorte erano infatti tenute in un'auto parcheggiata nelle vicinanze. In questo modo un bar gay gestito dalla mafia era in grado di riaprire immediatamente dopo che la polizia aveva finito di sequestrare le bottiglie e di portare via i clienti. In caso di chiusura, non essendoci necessità di chiedere licenze, il bar veniva riaperto sotto altro nome nel primo locale sfitto disponibile negli immediati dintorni, e il ciclo ricominciava.

Anche lo "Stonewall Inn" era posseduto e gestito dalla mafia. Il suo proprietario, Tony Lauria, detto "Fat Tony", apparteneva al clan Genovese, e pagava alla polizia una "mazzetta" di 1200 dollari al mese per restare aperto[3].

Il raid contro lo Stonewall si colloca in questo scenario, durante un'ondata di razzie poliziesche contro i bar gay della zona. Nei giorni precedenti il 28 giugno erano infatti stati già colpiti altri due locali, lo "Snake Pit" ("La fossa dei serpenti") e "The Sewer" ("La fogna"), entrambi operanti senza licenza di spaccio, e addirittura avevano chiuso lo "Checkerboard", il "Tele-Star" ed altri club notturni. Era infatti in corso in città la campagna per l'elezione del sindaco e il primo cittadino uscente John Lindsay, che aveva perso le primarie del suo partito, voleva mettersi in mostra con un repulisti completo dei bar gay. Lo Stonewall Inn era un bersaglio relativamente facile perché non aveva licenza per la mescita, era gestito dalla mafia, ed era accusato di permettere un giro di prostituzione, spaccio di droga e ricatti ai clienti impiegati nella vicina Wall Street[4]. Significativamente, durante la retata allo "Stonewall Ill" non solo la polizia non preavvisò i proprietari, ma arrestò tutti i dipendenti del bar.

Gli eventi della notte

Il bar nel settembre 1969.

Gli eventi ebbero inizio nella notte del 27 giugno 1969, alle ore 1:20, quindi tecnicamente nella primissima mattina del 28 giugno, che per questo motivo è oggi indicata come data dei moti[5].

La polizia si presentò in Christopher street 51-53[6] allo "Stonewall Inn", un "circolo privato" dotato di due bar e due sale da ballo, per accedere al quale era necessario pagare un biglietto d'ingresso (tre dollari).

Secondo l'analisi che Dick Leitsch (giornalista e allora presidente della "Mattachine society" di New York) scrisse "a caldo", immediatamente dopo i fatti, per il bollettino della "Mattachine society"[7], questo locale era punto di riferimento per una clientela altrove emarginata, costituita da drag queen (alcune delle quali prostitute e tossicodipendenti) e da minorenni sbandati, molti dei quali cacciati di casa perché omosessuali, che vivevano di espedienti, fra prostituzione e droga.

Costoro trovavano nello "Stonewall" (che una volta pagato il biglietto d'ingresso permetteva di trascorrere anche l'intera notte senza obbligo di consumare) la possibilità di passare la notte al caldo, o d'incontrare qualcuno che li portasse a dormire a casa propria. E la mafia notoriamente non ha mai avuto obiezioni contro la prostituzione minorile. Si aggiunga poi il fatto che era proibito servire alcolici ai minorenni, che quindi erano esclusi dagli altri luoghi di socialità gay più attenti al rispetto della legge. Ebbene, secondo il parere di Leitsch fu proprio questo gruppo di persone, bersaglio privilegiato della repressione poliziesca, a reagire con la forza alla retata[8]. La sola foto dei moti della prima notte pubblicata ritrae proprio i "ragazzi di strada" alle prese con i poliziotti. File:Stonewall riots.jpg I "ragazzi di strada" e la polizia. Foto di Joseph Ambrosini dal "New York Daily News" del 28 giugno 1969.

Particolarmente interessante è il modo in cui la stessa Sylvia Rivera (all'epoca diciassettenne) caratterizzò lo "Stonewall Inn", che confuta l'immagine leggendaria di locale per drag queen di colore: « Ciò che la gente fatica a capire è che lo Stonewall non era un bar per drag queens. Era un bar per maschi bianchi, in cui uomini di classe media potevano rimorchiare ragazzi giovani di varie razze. Pochissime drag queens vi erano ammesse, perché se avessero ammesso le drag queens nel circolo privato, ciò avrebbe svalutato la sua immagine. E ciò avrebbe creato maggiori problemi al circolo. La mafia la pensava in questo modo, ed anche i clienti la pensavano così. Perciò le queen a cui era permesso entrare, fondamentalmente avevano conoscenze lì dentro. Io ci andavo a prendere droga da consumare altrove. Avevo conoscenze lì dentro[9]. »


Così, quando dodici tra impiegati e clienti furono fermati e allineati fuori dal locale in attesa dell'arrivo del furgone cellulare, una donna lesbica (Stormé DeLarverie affermò di essere stata lei) gridò di fare qualcosa alla folla radunatasi fuori dal bar, scatenando un lancio d'oggetti che si trasformò in un attimo in una sassaiola (nelle adiacenze c'era un cantiere edile aperto). Ciò costrinse i poliziotti a barricarsi dentro al locale e a chiamare rinforzi, il cui arrivo non fece altro che incendiare ulteriormente gli animi, dando inizio agli scontri fisici tra poliziotti e passanti (molti dei quali non erano fra i clienti di quella sera dello "Stonewall").

Un aspetto oggi poco discusso ma presente nella ribellione fu poi l'esasperazione contro il duopolio esercitato da polizia e mafia sui locali gay. I prezzi erano esorbitanti e gli alcolici serviti annacquati e preparati in condizioni igieniche precarie (il barista dello "Stonewall" dal bancone non aveva accesso all'acqua corrente per lavare i bicchieri). E le voci accusavano i gestori del locale di praticare estorsione e ricatto ai danni di clienti gay facoltosi, tanto che la guida gay della Mattachine society" avvisava di non firmare all'ingresso con il vero nome. Secondo Phillip Crawford, autore di un libro sui rapporti fra mafia e locali gay: « Lo sfruttamento della comunità gay da parte della mafia fu una delle ragioni delle proteste del 1969 fuori dallo Stonevall Inn. Anzi, dopo le proteste di Stonewall, uno degli obiettivi principali dei gruppi di attivisti come la Gay Activists Alliance e il Gay Liberation Front fu la cacciata del crimine organizzato dai bar gay[10]. »


E sia Martin Duberman (pp. 205-206) che Donn Teal (pp. 8-9) riferiscono che la coppia gay formata da Craig Rodwell e Fred Sargeant già la mattina successiva agli scontri produsse e distribuì 5000 volantini che chiedevano: "Get the Mafia and the cops out of gay bars, "Fuori la mafia e gli sbirri dai bar gay". In essi veniva chiesto espressamente il boicottaggio dello "Stonewall" e degli altri bar gestiti dalla mafia.

Lo "Stonewall" dopo i moti

Le conseguenze

La celebrazione dei moti

Dai moti ai miti di Stonewall

I moti di Stonewall non furono né gli unici né i primi

Marsha Johnson e Sylvia Rivera non erano presenti alla retata

Stormé DeLarverie

Perché i miti di Stonewall

I film

Note

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Bibliografia

Link esterni

Voci correlate