Mario Stefani

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Voce a cura di Francesco Bennardo, liberamente modificabile. Mario Stefani (Venezia 4 agosto 1938 - Venezia 4 marzo 2001) è stato un poeta italiano.

Occasionalmente lavorò anche come critico d'arte, giornalista e critico letterario; nella seconda metà degli anni Ottanta scrisse inoltre tre libri di racconti.

Indice 1 Biografia 2 Omosessualità 3 Poetica 4 Bibliografia 5 Curiosità 6 Note Biografia Laureatosi in Lettere col massimo dei voti con una tesi sull'Epistolario di Pietro Aretino, per qualche tempo frequentò l'Università di Urbino come collaboratore della cattedra di italianistica occupata da Neuro Bonifazi[1]. Nel 1960 rilasciò la sua prima raccolta di poesie - Desiderio di vita - e continuò a scrivere liriche fino agli ultimi giorni della sua esistenza: Una solitudine inquieta (2000) è l'ultima silloge pubblicata ancora in vita, mentre postumi furono mandati in stampa i versi de Una quieta disperazione (2001)[1]. Stefani era estremamente noto nella sua città natale (praticamente tutti i veneziani lo trattavano con rispetto e riverenza[2]) ma poco nel resto d'Italia: l'amore viscerale - ricambiato - che provava per Venezia finì per renderlo un autore quasi "provinciale", misconosciuto lontano dalla laguna[2]; parte delle sue opere è stata comunque tradotta in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d'America.

Nel 1962 si iscrisse al Partito Radicale e, ancora all'inizio degli anni Novanta, aveva sempre confermato la tessera[3]. Con il PR si candidò anche al Senato, alle elezioni politiche del 1987, ma ottenne solo 2.621 preferenze e non fu eletto[4].

Abilitato all'insegnamento delle materie umanistiche nelle scuole medie e nei licei, prima di andare in pensione insegnò in una scuola media di Marghera[3].

Collaborò con varie testate: fu critico letterario dell'Osservatore politico letterario, dell'Arena e del Resto del Carlino[1] mentre negli ultimi anni curò la terza pagina de Il Gazzettino e le cronache di Venezia Mestre[5]. S'interessò anche di pittura e la sua casa traboccava fino al soffitto di quadri d'importanti artisti per i quali aveva scritto presentazioni di cataloghi[2]. Ottenne vari riconoscimenti tra cui il primo premio Bergamo di poesia per il libro Elegie Veneziane, il premio Presidenza del Consiglio dei ministri, il premio Gabicce, il Milano e l'Abano[1]; inoltre è stato finalista più volte al Gatti e al Viareggio mentre con l'opera Il poeta assassinato ha ricevuto il premio Taormina[1].

Amico di Giorgio De Chirico e di Alberto Moravia, che accompagnava per osterie e a cercar casa, conobbe personalmente Pier Paolo Pasolini ed ebbe come maestri Aldo Palazzeschi e Diego Valeri[6].

Fu spesso giudice o presidente nei concorsi di poesia e viene come una persona cordiale e disponibile dalle grandi doti umane: i veneziani lo ammiravano per la sua semplicità, la passione per la letteratura e il suo amore per la gente[5]. Una donna che ebbe l'occasione di conoscerlo lo definì «una persona con un cuore grande in un corpo pieno di solitudine»: era infatti un uomo molto solo, ed il suo dolore traspare molto spesso nelle sue liriche (leggendo l'ultima sua poesia, intitolata non a caso Una quieta disperazione, si può ben comprendere lo stato d’animo dell'artista)[5].

Il pensionamento, la morte del padre a cui era particolarmente affezionato e una grave forma di diabete lo fecero entrare in una spirale di depressione che lo condusse al suicidio: Stefani s'impiccò nella sua abitazione, sita in Campo San Giacomo Dell'Orio, cinque mesi prima di compiere 73 anni[7]. Un pettegolezzo vuole che alla tragica scelta abbia contribuito anche il suo amore non corrisposto per un giovane commerciante: un droghiere sposato[8] o, secondo lo scrittore statunitense John Berendt, un venditore di frutta e verdura a cui lasciò in eredità il suo patrimonio[9]. Il comune di Venezia, in occasione del nono anniversario della sua scomparsa, fece erigere una targa ricordo in suo onore[10].

Il già citato Berendt, come anticipato, parlò della figura di Mario Stefani e della diatriba relativa al suo suicidio e al testamento in un capitolo del suo libro Dove cadono gli angeli, dal titolo "L'uomo che voleva bene agli altri"[8]. Nel 2002 presso la Fondazione Querini Stampalia venne costituito un fondo intitolato allo stesso Stefani: tale fondo è costituito da circa 6800 volumi provenienti dalla biblioteca personale del poeta, 16 targhe legate alla sua attività culturale, 26 fra dipinti e opere grafiche[11].

Nel 2013 venne pubblicato Mario Stefani e Venezia. Cronache di un grande amore di Flavio Cogo, saggio che analizza l'amore del poeta per la sua città natale alla luce delle sue opere, dei suoi scritti (saggi, prefazioni, articoli, interventi), nonché del suo impegno politico e culturale[12].

Omosessualità Mario Stefani era un omosessuale dichiarato[6]: già negli anni Settanta fece pubblicamente coming out attraverso le sue opere, nonostante Palazzeschi avesse cercato di terrorizzarlo affinchè non pubblicasse poesie a tema LGBT[2]. In un'intervista ebbe a dichiarare: «Io ho sempre vissuto con impegno la mia omosessualità e già negli anni Sessanta nelle mie poesie ho detto di amare l'uomo e non la donna. Ma generalmente penso ci sia in Italia una situazione molto differente, ad esempio, dalla Francia, dove c'è l'intellettuale engagé, nel senso buono del termine. Si pensi ad André Gide, con quale coraggio ha testimoniato la propria omosessualità, finendo col vincere il Nobel. Qui in Italia si è più cortigiani, si teme troppo di perdere un premio o la prebenda di un industriale e poi c'è la Chiesa che ha sempre funto da freno»[3].

Sempre avanti coi tempi, per molti aspetti può essere considerato un "pionere gay"[2]. Nel 1984 fu uno dei soli tre intellettuali che accettarono di farsi intervistare sul tema "omosessualità e cultura" all'interno del libro La pagina strappata, pubblicato in quell'anno a cura di Giovanni Dall'Orto[2]. La sua militanza gay è stata costante ma discreta, sempre dietro le quinte; negli ultimi anni, ad esempio, seppur in cattive condizioni di salute Stefani aiutò molto l'Agedo soprattutto per ciò che concerneva la logistica e le public relations[2].

Poetica Non si può analizzare la poetica di Mario Stefani senza prima conoscere la concezione che egli aveva della poesia: per l'artista veneziano essa «è un fatto misterioso, forse l'unica cosa che la scienza non riuscirà mai a spiegare: ci visita quando vuole lei, tanto è vero che molte volte, pur con le migliori intenzioni e le più grandi passioni, scriviamo gran brutte cose. Per alcuni la poesia è una confessione, come una ferita, come un taglio sulla corteccia di un albero, mentre per altri è una perfetta, geometrica costruzione mentale»[3]. Per Stefani ha sempre senso scrivere poesie, anche nel mondo contemporaneo che sembra averle "dimenticate" (a suo dire, ciò è avvenuto perchè la società moderna è sempre più visiva e semprè più legata alla videodipendenza), perchè «la poesia parla dell'uomo, è un ponte per parlare a se stesso e per comunicare con gli altri e l'uomo, finché esisterà ne avrà sempre bisogno»[3].

Di conseguenza le sue poesie sono caratterizzate da una chiarezza limpida di espressione e una semplicità ingannevole che - alla maniera degli haiku giapponesi - riescono a dire molto in poche parole. La magia e la musica di questi versi dalla nostalgia inquietante vengono spesso purtroppo perse durante la traduzione nelle lingue straniere[13].

Fin dalla prima raccolta di liriche, Desiderio della vita, la poetica di Mario Stefani sembra sospesa nella contemplazione del bello e assolutizzata nel suo ricordo, voce incantata che cerca di trascurare, come cose da nulla, le variazioni e incombenze del reale, per attestarsi in quel punto di cielo dove solo armonia, amore, vitalità e giovinezza fioriscono. Sembrerebbe quindi una poesia della felicità, dove l'intreccio di desiderio, possesso e ricordo completa un quadro d’incanto che diviene poesia; ma non è così: la felicità rappresenta l’attimo, sempre cercato ma difficilmente, e spesso casualmente raggiunto, e a volte punto di quiete momentanea; mentre la condizione è, al contrario, quella di naufrago della vita, di volta in volta attaccato ad uno o ad altro sicuro appiglio, ma già disposto alla perdita[14].

È in questo scarto tra memoria e oblio che affiora un ambito sospeso, dai contorni di sogno, seppure legato da fili sicuri al reale: l’ambito della poesia. Quei fili formano la tenue tela delle illusioni e delle disillusioni, dei desideri e delle passioni, degli amori e dei tradimenti; è il tentativo di conferire durata alla completezza dell’attimo pienamente vissuto (e, possiamo ripetere, felice), che dà continua linfa al poeta, anche quando va cogliendo delle cose soprattutto il senso della fine. Ecco perché l’incanto, ricreato come punto di equilibrio e di armonia tra un istante e l’altro del vivere, facilmente si rompe, e ritrovarlo può essere tanto difficile, quanto doloroso, quanto necessario; il tentativo di ricostituirlo è di fatto un percorso obbligato, per ricondurre la memoria ad un punto di unità e di pacificazione. Questo incanto è dunque, più propriamente, frutto del disincanto del poeta verso la vita[14].

Se quindi il risultato di questo poetare è una piena armonia di forma, un "canto greco" che - come molti critici hanno evidenziato - grazie alle lezioni di Sandro Penna e Camillo Sbarbaro si rifà all'alessandrinismo, i presupposti sono gli infiniti passaggi e gradi che portano il poeta, dall’interno di un percorso non sempre lineare, fatto di illusioni e di meraviglia, ad una pacatezza e assennatezza e lucentezza che sembrano frutto di semplicità e immediatezza e sono invece frutto di tormento e passione, rivisti attraverso i filtri del raccontare, con partecipazione e con ironia[14].

Il mosaico luccicante di colori della poesia si va completando, con le tessere sistemate al loro posto: la scoperta, la meraviglia, il sentimento, da un lato, l’accensione dei sensi accompagnata dal sogno e dall’illusione, dall’altro, cui seguono o il rito del corteggiamento o l’incantesimo del possesso e quindi, o l’armonia del sentimento vissuto, oppure la sofferenza dell’animo che spera, desidera e teme di perdere l’oggetto d’amore; di conseguenza, o la messa in gioco dei meccanismi della sublimazione, o, al contrario, dei meccanismi della negazione, guidati da senso di frustrazione e di sconfitta: l’uomo Stefani appare pertanto molto meno semplice di quanto possa sembrare ad una prima lettura dei suoi testi: il suo procedere è talvolta labirintico. E se la scrittura di Stefani sembra pacificata, piana e sembra esprimere appieno i propri contenuti, è solo perché l’elaborazione è stata rigorosa e la mediazione riuscita[14].

Così come riconoscere nella fine l’intrinseca essenza di ogni cosa o avvenimento o essere, al contrario di chi ostinatamente opera per via di rimozioni, vuol dire operare una sostituzione dell’apparenza con la sostanza delle cose, senza opporvi una immortalità di corpi o di anime o di opere: ed è saggezza suprema, accettazione dell’essere, e quindi è piena coscienza, è la maturità del disincanto, stoicamente (e non intendiamo dire che è senza conflitti). Questa coscienza del disincanto è dunque coscienza del tempo, in movimento, in divenire, non un tempo assolutizzato e statico, altra via per mitologie, altra forma di assoluto; un tempo relativo quindi, direttamente correlato al vissuto, al sentimento dell’uomo, dove lo scrigno della memoria è lo scrigno da cui estrarre le gioie da mostrare o da conservare per sé, come le tracce delle perdite e delle sconfitte[14].

In totale, Stefani pubblicò ventitre raccolte poetiche: in tutte - e particolarmente nelle liriche scritte in dialetto veneziano - par di sentire il suo "urlo civico" disperato contro il degrado di una città che perde abitanti, minacciata dall'acqua alta e dallo scavo di nuovi canali, una città dalla qualità di vita altissima nei suoi campi, dove le relazioni umane hanno ancora un senso, ma minacciata da un turismo che imperversa in ogni dove[6].

Bibliografia Di Mario Stefani:

Desiderio della vita (a cura di Diego Valeri), Rebellato, 1960. Giorno dopo giorno, Rebellato, 1961. Poesie scelte, Rebellato, 1962. La speranza avara, Edizioni Pan, 1967. Come el vento ne la laguna, Rebellato, 1968. Il male di vivere (con prefazione di Aldo Palazzeschi), Pan Editrice, 1968. Un poco de tuto, Rebellato, 1969. Libertà del prigioniero, Pad Editrice, 1970. Elegie veneziane, Rebellato, 1971. Poesie a un ragazzo, Pan Editrice, 1974. Il poeta assassinato, Panda Edizioni, 1981. No other gods: 55 poems (traduzione di Anthony Reid), Kouros press, 1982. A debito della vita (con Carlo Betocchi, Sandro Penna e Andrea Zanzotto), Panda Edizioni, 1984. A tavola con Margherita (racconti), Panda Edizioni, 1986. Torte eccellenti e viziose virtù (racconti), Panda Edizioni, 1987. Metamorfosi di un cane e altri racconti (racconti), Centro Internazionale della Grafica, 1988. Poesie erotiche, Panda Edizioni, 1988. Poesie 1960-1988, Anthos, 1989. Per più antica memoria, Editoria universitaria, 1991. Se Venezia non avesse il ponte, l'Europa sarebbe un'isola, Editoria universitaria, 1994. Vino ed eros, Editoria universitaria, 1996. Versi senza maschera, Editoria universitaria, 1997. Poesie segrete, Editoria universitaria, 1998. Poesie, Nuovo Rinascimento, 2000. Una solitudine inquieta, Editoria universitaria, 2000. Pareil au vent dans la lagune, Dell'Arco, 2000. Una quieta disperazione, Editoria universitaria, 2001. Su Mario Stefani:

Francesca Zambon, Un poeta in giarrettiera: Mario Stefani, prefazione di Gilberto Pizzamiglio, Editoria Universitaria, Venezia, 1993. John Berendt, Dove cadono gli angeli. Venezia e altri misteri, traduzione di C. Galli, Rizzoli, Milano, 2005. Flavio Cogo, Mario Stefani e Venezia. Cronache di un grande amore, prefazione di Alberto Toso Fei e nota di Michele Boato, Libri di Gaia, Mestre, 2013. Curiosità Fu un lontano parente di Giovanni Dall'Orto: la nonna paterna di Stefani era, infatti, sorella della nonna materna del giornalista e storico milanese[2]. Note ↑ 1,0 1,1 1,2 1,3 1,4 Mario Stefani, Poesie erotiche, Panda Edizioni, 2014, pp. 3-4. ↑ 2,0 2,1 2,2 2,3 2,4 2,5 2,6 2,7 Giovanni Dall'Orto, Ricordo di Mario Stefani (1938-2001), giovannidallorto.com. L'articolo era stato originariamente edito su Pride n. 22, aprile 2001, pp. 58-59. ↑ 3,0 3,1 3,2 3,3 3,4 Vincenzo Patanè, Il poeta che parla all'uomo. Intervista a Mario Stefani, 16 maggio 2005. Originariamente l'intervista era stata pubblicata in Babilonia, n. 88, Aprile 1991. ↑ Senato 14/06/1987 | Area ITALIA | Regione VENETO | Collegio VENEZIA, elezionistorico.interno.it. ↑ 5,0 5,1 5,2 Stefania Zennaro e Annamaria Nardo, In ricordo di Mario Stefani, nicolasaba.it. ↑ 6,0 6,1 6,2 Il grido di Mario Stefani per la sua Venezia. Versi contro il degrado, La Nuova di Venezia, 25 febbraio 2014. ↑ Angelo Ferracuti, Andare. Camminare. Lavorare.: L'Italia raccontata dai portalettere, Feltrinelli, 2015. ↑ 8,0 8,1 Matt e Andrej Koymasky, Mario Stefani (August 4, 1938 - March 4, 2001) Italy, 19 dicembre 2007. ↑ Harsh Desai, Venice is my house, intervista a John Berendt pubblicata su The Tribune, 2 ottobre 2005. ↑ Targa ricordo al Poeta Mario Stefani, Comune di Venezia, 4 marzo 2010. ↑ Mario Stefani e Venezia, venipedia.it. ↑ Mario Stefani e Venezia cronache di un grande amore, Comune di Venezia, 10 maggio 2016. ↑ No Other Gods, goodreads.com. ↑ 14,0 14,1 14,2 14,3 14,4 Mario Stefani: la poetica del disincanto, literary.it. Estratto da "http://www.wikipink.org/index.php?title=Mario_Stefani&oldid=32533" Categorie: Biografie Poeti italiani Venezia 1938 2001