Paolo Seganti

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Paolo Seganti.

Paolo Seganti (Roma, 1967 - Roma, 11 luglio 2005) è un giovane romano, vittima il 10 luglio 2005 di un omicidio motivato dal suo orientamento sessuale. Non va ovviamente confuso con l'omonimo attore.

Al momento della morte, Seganti aveva già da tempo fatto coming out. Cattolico, studiava teologia, era volontario nei “Papa boys” ma aveva lasciato il seminario per la difficoltà di convivere omosessualità e fede: egli parlava di “silenzio ipocrita” e sentiva il peso di “una ostinazione ceca ammantata di prudenza” che finiva per “gettare molti nella disperazione di una negazione assoluta” di ciò che sono o in una “schizofrenia spirituale e umana”[1].

La vicenda[modifica]

Una mattina del luglio 2005, in un parco del quartiere Montesacro, fu ritrovato morto il giovane Paolo Seganti. Esclusa la rapina (il giovane non aveva con sé neanche il portafoglio) o altri moventi, si dovette prendere atto del fatto che l’unica spinta del barbaro assassinio era stata l’omofobia violenta: gli assassini (mai identificati) si erano infatti accaniti su di lui in modo tale da stigmatizzarne la sessualità [2].

Sul numero di agosto 2005 del mensile "Pride", Gianni Rossi Barilli riassunse così l'evento:

« Paolo Seganti, romano di 35 anni, assassinato a Roma nella notte del 10 luglio (2005). Ucciso in un parco di periferia, mentre urlava disperatamente aiuto facendosi sentire dalla gente dei palazzi vicini che stava in casa con le finestre aperte per il caldo. Qualcuno ha avvisato la polizia e qualcun altro i carabinieri, ma le pattuglie intervenute non hanno notato niente di strano e se ne sono andate. Poi si è sentito di nuovo urlare e poi più nulla. La mattina dopo una signora che portava a spasso il cane ha trovato il cadavere immerso nel sangue e ha dato l’allarme.

Secondo la ricostruzione fornita, Paolo Seganti è stato torturato con un coltello che gli ha procurato oltre venti ferite ai genitali e alle natiche e poi finito con un colpo alla base del cranio.
Le indagini sono ancora in corso, ma almeno stando alle apparenze, l’omosessualità della vittima non è un dettaglio insignificante per spiegare l’accaduto. Paolo Seganti era un gay dichiarato e un cattolico praticante. “Uno che aveva scelto di non nascondere la sua fede e il suo orientamento omosessuale”. »

Alcuni anni dopo, Fabio Sanvitale avrebbe descritto più minuziosamente l'assassinio:

« Paolo Seganti è un uomo di 38 anni, alto e atletico, che, come fa spesso, prende il motorino, un “Honda Sh 150” nero. Esce di casa alle 22, dicendo alla madre che va a innaffiare le piante del Parco delle Valli. Le ha messe lui, in quel terreno in abbandono, ma non piove da un po’. Parcheggia lo scooter vicino l’ingresso ed entra nel buio. Un buio che era già stato teatro di aggressioni, danneggiamenti, furti. Paolo lo sa come lo sanno tutti a Montesacro e, per evitare di essere derubato, lascia portafoglio e cellulare sul motorino; entra solo con l’innaffiatoio. Sa che gira brutta gente, da quelle parti. Di giorno bambini e anziani della bocciofila: di notte barboni o stranieri che si ubriacano e dormono sotto gli alberi. La gente che abita lì ha paura.

Siamo tra le 22 e le 22,30 quando delle urla attirano l’attenzione delle finestre aperte, della gente sui balconi dal lato di via Val d’Ala. Una voce maschile sta gridando di dolore dalle parti della recinzione. Si vede un uomo con una maglietta bianca. Urla:“Fermatevi! Fermatevi!”. Poi –che strano- si allontana barcollando e rientra nel buio. Poi, più nulla. Entrare in quel bosco urbano ci vuole coraggio e allora qualcuno chiama la polizia: le Volanti però non entrano nel Parco, ma danno un’occhiata da fuori. È un errore, perché dentro qualcosa è successo. Quel qualcosa lo si scopre la mattina dopo, quando una donna che alle 7 porta fuori il cane trova il cadavere di Paolo. È a una ventina di metri dall’ingresso del parco. Una ventina di coltellate all’inguine, ai glutei; e poi calci, bastonate. Il naso quasi staccato, la faccia tumefatta e gonfia, la testa sfondata. Un coltello col manico in legno e un bastone vengono ritrovati in un cassonetto.
Ora, se un gay viene ammazzato a quel modo, in quel posto, accoltellato in quelle parti del corpo, due domande te le fai. Sulle prime pensi a un incontro finito male: ma Parco delle Valli era una terra di nessuno, sì, ma non luogo d’incontri sessuali, né tra uomini, né tra etero, né tra nessuno. Pensi a un furto finito male: poi scopri che portafogli e cellulare erano al loro posto, nel bauletto dello scooter. Allora pensi a una rissa finita male, ma la violenza sproporzionata che si è abbattuta su Paolo (nella foto) non è rissa, è odio profondo. Qui non è finito male niente, questo è un omicidio volontario. Quell’accanimento ha il sapore dell’odio. Paolo è quasi completamente nudo, è un corpo con i calzini e una maglietta incrostata di terra e sangue. Chi l’ha ucciso l’ha fatto spogliare. Il resto dei vestiti è lì attorno. Siamo oltre la rissa e il furto.
Alle volte gli omicidi nascono per caso. Paolo abitava nel quartiere, non era la prima volta che curava le piante del parco, la sua omosessualità non era nascosta. I barboni, in genere, uccidono durante una lite, stranieri come quelli che dormivano tra gli alberi idem o per rubare. E poi le ferite. Quelle ferite. E quella violenza, di molto superiore al necessario per fare un furto. E allora ci immaginiamo due ragazzi in giro per una notte d’estate, che passano di lì e lo vedono entrare nel buio. Sanno chi è, sanno che quella notte hanno voglia di pestare qualcuno. I gay non li sopportano. Che siano più d’uno lo dice il plurale di quel grido e poi: due armi, due assassini. Non è che prima usi un coltello e poi passi al bastone. E un bastone, così come un coltello, non lo trovi per strada, in città, te lo porti dietro. Paolo viene aggredito, colpito. Grida, cerca la fuga, confuso, in quell’aggressione a moscacieca: ma trova la recinzione, allora grida ancora, si volta, barcollando cerca un’altra via di fuga ma finisce in braccio agli assassini, che lo finiscono. Era quasi arrivato all’uscita.[1] »

Particolarmente importante in questo caso fu il comportamento della madre della vittima, Augusta Seganti, che lungi dal negare l'omosessualità del figlio, come avviene in questi casi, e dal cercare di evitare che i giornali parlassero dell'accaduto, riconobbe subito e pubblicamente il carattere omofobico del gesto, costringendo in questo modo anche i giornali a prenderne atto[3].

La notizia provocò una grande impressione sull’opinione pubblica (ancora ferito, il ragazzo era riuscito a chiedere aiuto, ma non venne raggiunto) e le associazioni glbtq della capitale chiesero e ottennero da un sindaco titubante di organizzare una fiaccolata in memoria in piazza del Campidoglio. La fiaccolata infine si tenne, e vide anche la partecipazione (non annunciata) del sindaco Walter Veltroni [4]. A Mirella Gramaglia fu affidato l’unico intervento, tutto incentrato sull’idea della “città delle differenze e dei diritti”.

A Paolo Seganti oggi è intitolato un giardino all’interno del Parco delle Valli [5].

Note[modifica]

Voci correlate[modifica]

Bibliografia[modifica]

Link[modifica]