Francesco Calcagno

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Voce a cura di Francesco Bennardo, liberamente modificabile.

Francesco Calcagno (Brescia, 1° febbraio 1528 - Brescia, 23 dicembre 1550) è stato un presbitero italiano, noto per essere stato condannato a morte dall'Inquisizione veneziana.

Calcagno e l'Inquisizione veneziana[modifica]

Prima di diventare sacerdote, era stato "professo" (cioè frate che ha preso i voti) nel monastero di Santa Eufemia a Brescia[1]. Aveva uno stile di vita libertino e faceva parte di una "congrega blasfema" che, fino al Concilio di Trento, potè agire senza subire repressioni[2]. Il 7 febbraio 1550 venne denunciato da Giovanni Antonio de Savarisi, probabilmente per bloccare i suoi maneggi con un "puttino" (ragazzino), figlio della ex "massara" del denunciante[2].

Le testimonianze di Lauro Glisenti, Giovita Ballino e del libraio Pietro delle Grazie del 13 luglio 1550 confermano le accuse. Uno di loro affermò il frate francescano dormiva con un ragazzo quasi ogni notte, credeva che Gesù avesse avuto una relazione sodomitica con San Giovanni («El me fu ditto che era [ero] sta' querelato che aveva ditto che Cristo teneva per suo bardassa san Gioanni, et de altre cose che non me ricordo»[2]) e negava l'esistenza di Dio e del Paradiso nonchè dell'immortalità dell'anima[3].

Anche dopo l'espulsione dall'ecumene romano che aveva subito, Calcagno mantenne il suo atteggiamento ribelle, continuando a parodiare la Chiesa Cattolica e le sue credenze e a celebrare la Messa nonostante gli fosse stato proibito di farlo[4]. La confessione dell’imputato arrivò, in parte, il 14 luglio 1550 e per il resto - probabilmente dopo una seduta di tortura - il giorno seguente[5].

Calcagno dichiarò agli inquisitori che il suo pensiero era stato influenzato anche da La cazzaria, un dialogo omoerotico scritto nel 1530 da Antonio Vignali che veniva distribuito, in maniera nascosta ma ampia, in quel periodo[6]. La supplica conclusiva non ebbe alcun effetto: dopo esser stato trasferito e processato a Venezia, Calcagno fu rimandato a Brescia con una condanna alla riduzione allo stato laicale, al taglio della lingua, alla decapitazione e al rogo del suo corpo. Il 23 dicembre 1550 il monaco fu giustiziato in Piazza Loggia[5].

Ufficialmente il tribunale parlò di blasfemia e luteranesimo, ma si trattava di un pretesto: insieme a lui erano stati processati due luterani veri, che ricevettero pene molto più lievi. Il motivo è chiarissimo: mentre i seguaci del monaco di Eisleben erano pur sempre cristiani appartenenti a una Chiesa "sbagliata" (che potevano essere "salvati" obbligandoli ad entrare nella Chiesa "giusta"), i libertini negavano la liceità di qualsiasi Chiesa[2].

Voci correlate Condanne a morte per sodomia in Italia. Libertinismo Storia dell'omosessualità a Brescia Note ↑ Giovanni Dall'Orto, Francesco Calcagno (1528-1550), giovannidallorto.com. ↑ 2,0 2,1 2,2 2,3 Giovanni Dall'Orto, "Adora più presto un bel putto, che Domenedio". Il processo a un libertino omosessuale: Francesco Calcagno (1550), giovannidallorto.com. ↑ Scott Tucker, The Queer Question: Essays on Desire and Democracy, Boston, South End Press, 1997, p. 46. ↑ Giovanni Dall'Orto, "Nature is a Mother Most Sweet': Homosexuality in Sixteenth- and Seventeenth-Century Italian Libertinism" in Gary P. Cestaro (a cura di), Queer Italia: Same-Sex Desire in Italian Literature and Film, New York, Palgrave Macmillan, 2004, pp. 83-104. ↑ 5,0 5,1 Stefano Bolognini, Storia dell’omosessualità a Brescia, stefanobolognini.it. ↑ Laura Gianetti, Lelia's Kiss: Imagining Gender, Sex, and Marriage in Italian Renaissance Comedy, Toronto, University of Toronto Press, 2009, p. 163.