Dico

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Manifesto del gruppo politico di destra "Azione giovanile" contro i Dico.

Il nome di "DICO" è relativo a una proposta di regolamentazione dei “DIritti e doveri delle persone stabilmente Conviventi” del Governo Prodi II. Secondo la proposta, mai approvata, la stipulazione sarebbe dovuta avvenire attraverso l'invio di una raccomandata. A differenza delle unioni civili approvate in diversi paesi europei si presentava come penalizzante per le coppie contraenti. Avrebbe infatti garantito alcuni diritti ai contraenti solo dopo 3, o 9 anni di convivenza. Proposte simili a quella dei DICO, nell’articolato e nel destino legislativo, sono state quelle dei CUS e dei DiDorè.

La proposta[modifica]

DICO, o DiCo, è una sigla per "DIritti e doveri delle persone stabilmente COnviventi", usata per indicare un nuovo istituto per la tutela delle coppie non coniugali, così come risultante da un disegno di legge governativo, elaborato nel 2007 dal secondo governo Prodi[1], allo scopo di "archiviare" la richiesta dei "Pacs".
L'approvazione di una legge per regolamentare le unioni civili era stata promessa nel corso della campagna elettorale, ma la soluzione dei Pacs era stata giudicata inaccettabile dai vescovi, e "quindi" non supportabile da parte del governo di Romano Prodi. E in effetti, anche la seconda legislatura del centrosinistra italiano si concluse, come già la prima, senza l'approvazione della minima forma di riconoscimento dei diritti delle coppie lesbiche e gay.

La proposta di legge nacque dalla mediazione fra Rosi Bindi (Margherita) e Barbara Pollastrini (Ds), che ammisero con sorprendente franchezza che il loro scopo era stato evitare di dare pari diritti e pari dignità a coppie di fatto (etero od omosessuali che fossero) e famiglie matrimoniali tradizionali:

« Con Rosy Bindi, la ministra autrice (con la ds Barbara Pollastrini) dei Dico, parlano dopo il question-time a Montecitorio. (...) "Il disegno di legge del governo, i cosiddetti Dico, è ispirato ai princìpi dei vescovi", dichiarerà poi <Rosi Bindi>.

Parole calibrate, d'accordo con la collega Pollastrini, a difesa della legge sulle unioni civili che punta alla "tutela delle persone e non delle coppie" etero e omosessuali.
Le reazioni sono improntate tutte a questo concetto: i Dico "non prevedono alcuna equiparazione tra famiglia e coppie di fatto né etero né omosessuali" bensì il riconoscimento di diritti dei conviventi
. [2] »

Contenuto della proposta[modifica]

I quattordici articoli della proposta di legge possono essere letti qui, un riassunto dei contenuti della proposta di legge è qui.

Spirito della proposta di legge[modifica]

Il disegno di legge aveva come scopo principale evitare che una coppia fosse considerata tale dall'ordinamento sulla base d'una scelta volontaria e pubblica dei suoi componenti (per esempio, attraverso una cerimonia pubblica), cosa che avrebbe richiamato troppo da vicino la modalità di realizzazione dei Pacs.
A questo scopo si previde un meccanismo basato sulle "risultanze anagrafiche", cioè s'immaginò che non solo entrambi i/le partner avrebbero dovuto andare negli uffici dell'Anagrafe per dichiararsi conviventi, e che questo potesse avvenire anche in momenti diversi, ma si andò oltre, ipotizzando che la dichiarazione potesse essere fatta anche da una sola delle due persone. Per questo caso si immaginò un meccanismo freddamente burocratico: infatti per avvisare l'altra persona del fatto che la dichiarazione era stata fatta era sufficiente spedire una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno. (Il rischio evidente in tale procedimento era la facilità con cui la persona convivente che avesse spedito la raccomandata avrebbe potuto falsificare la firma sulla ricevuta. In un caso del genere si sarebbe commesso più di un reato, e la prova della falsità delle dichiarazioni avrebbe comunque impedito la produzione degli effetti connessi al Dico).
Quanto alle tutele riconosciute ai conviventi, il disegno di legge in parte accoglieva orientamenti giurisprudenziali da tempo consolidati in materia di coppie non sposate di sesso diverso (si pensi per esempio al subentro nel contratto di locazione dell'abitazione comune, nel caso di morte del/la partner a cui era intestato il contratto d'affitto), in altri casi rendeva esplicite norme già ricavabili dal Codice civile (come il fatto che il/la partner potesse fare scelte sulla salute o il "fine-vita", se la persona direttamente interessata non fosse stata più in grado di farne da sé), in altri casi ancora innovava il sistema, introducendo norme favorevoli ai conviventi legati da un DICO, come nel caso dei diritti di successione (cioè nel campo dell'eredità).

Tuttavia le condizioni richieste per accedere al DiCo erano più restrittive di quelle richieste per contrarre matrimonio, a iniziare dal fatto che la legge non poteva applicarsi immediatamente, come nel caso del matrimonio, ma solo dopo un certo numero di anni (da tre a nove), obbligatori, di convivenza.
Inoltre, erano escluse le persone "legate da rapporti contrattuali, anche lavorativi, che comportino necessariamente l'abitare in comune". In altre parole, mentre l'esistenza di una famiglia basata sul matrimonio non contrasta giuridicamente con il fatto che i suoi componenti gestiscano un'impresa (per esempio: un negozio), tanto è vero che esiste l'impresa famigliare, ciò sarebbe stato impedito alle famiglie non basate su un matrimonio. E ancora una volta a risentirne sarebbero state prima di tutto le coppie dello stesso sesso, dato che i conviventi eterosessuali che vogliono anche condividere un'esperienza lavorativa possono sempre sposarsi.

Nonostante alcune aperture, insomma, dal testo si ricavava una certa diffidenza verso una semplificazione del sistema. Molte delle tutele riconosciute potevano essere godute solo a condizioni molto stringenti, soprattutto dal punto di vista della durata della convivenza.
Più di una critica sollevò inoltre l'assenza di regole da seguire per porre fine a un Dico [3], assenza che era però giustificabile alla luce del presupposto fondamentale della sussistenza giuridica del Dico: l'esistenza di una convivenza. Cessata la convivenza, sarebbe infatti cessato automaticamente anche il Dico. In altri termini: non essendoci un atto di volontà espresso pubblicamente come nel matrimonio, e non discendendo dal Dico uno stato civile nuovo, non c'era alcun bisogno di un istituto simile al divorzio.
Questa lacuna si scontrava però con l'esigenza di dare una data certa alla cessazione della convivenza, ad esempio perché da quel momento in poi uno dei due partner che avesse avuto difficoltà economiche avrebbe potuto ricevere gli alimenti.
Si immaginò quindi, in via interpretativa, che anche la cessazione della convivenza avrebbe potuto avere data certa grazie all'invio di una lettera raccomandata, cosa che nel movimento lgbt fece parlare con un certo raccapriccio di "divorzio tramite lettera di licenziamento"...

Insomma, i Dico rappresentavano sì un tentativo di dare una qualche rilevanza giuridica alla convivenza non coniugale, ma un tentativo rabberciato.

Suo esito[modifica]

La bocciatura in sequenza di Pacs, Dico, Cus e Didore sancì il fallimento della linea "moderata" inseguita fin lì dai vertici del movimento gay, e aprì la strada alla richiesta del matrimonio. Nella foto, un manifestante al Roma Pride 2007.

Curiosamente, i Dico non arrivarono mai al voto non per l'opposizione (scontata) dei partiti della destra, né per una inesistente opposizione del movimento lgbt, che in quella fase era più preoccupato di non disturbare il cosiddetto "governo amico" che a perseguire i propri scopi.
I Dico furono infatti seppelliti (come la Bindi non avrebbe mancato di lamentare più volte[4] [5]) dall'irriducibile opposizione dai vescovi italiani[6], che giudicarono ancora troppo "matrimonialista" la proposta di legge.

Fu il presidente della Cei in persona, Angelo Bagnasco, ad attaccarli con argomentazioni violentissime:

« Perché dire di no a varie forme di convivenza stabile giuridicamente, di diritto pubblico, riconosciute e quindi creare figure alternative alla famiglia? Perché dire di no? Perché dire di no all'incesto, come in Inghilterra dove un fratello e sorella hanno figli, vivono insieme e si vogliono bene? Perché dire di no al partito dei pedofili in Olanda se ci sono due libertà che si incontrano?

Perché poi bisogna avere in mente queste aberrazioni secondo il senso comune e che sono già presenti almeno come germogli iniziali. [7] »

I Dico furono perciò affossati a favore dei Cus[8] e poi, con un ulteriore gioco al ribasso, dei Didore [9], fino alla logica conseguenza di mantenere puramente e semplicemente in vigore la discriminazione legale verso le Unioni di fatto, campo nel quale l'Italia è rimasta ormai l'unica nazione europea a non avere ancora legiferato.

Le obiezioni di Arcigay[modifica]

Sotto il titolo di Dieci regole per migliorare il Dico Sergio Lo Giudice, presidente nazionale di Arcigay e al tempo stesso consigliere comunale dei Ds, espose le sue obiezioni al progetto di legge:

« 1. Dichiarazione. - La dichiarazione deve essere resa insieme: quella di avvisare il partner tramite raccomandata è una disposizione ridicola e rischia di aprire il varco a false convivenze. Non ha senso estendere le convivenze dichiarate a fratelli e sorelle.

2. Convivenza. - È la condizione della dichiarazione, ma deve essere resa possibile: va prevista la possibilità di regolarizzare il partner straniero privo di permesso e che ci siano punteggi nelle graduatorie lavorative per il ricongiungimento al partner con cui si vuole andare a convivere.
Inoltre impedire che si possa dichiarare una convivenza con l'amministratore di sostegno è in contrasto con la legge che prevede che sia proprio il coniuge o il convivente ad assumere questo ruolo.
3. Possibilità di recesso. - Deve essere inserita. Nell'attuale proposta non è prevista, in contrasto con la volontarietà della dichiarazione iniziale.
4. Parte patrimoniale. - Deve essere possibile scegliere la comunione dei beni e opporla a terzi.
5. Accesso alle strutture sanitarie. - Il diritto deve essere garantito, e non lasciato alla buona volontà dei singoli ospedali.
6. Successione ereditaria. - I nove anni di attesa sono eccessivi. E se uno muore prima, che succede?
Va inoltre parificata la tassa di successione a quella prevista per i familiari.
7. Successione nel contratto di locazione. - Deve poter essere immediata, come già stabilito dalla Corte costituzionale, e non legata ai tre anni di convivenza.
8. Reversibilità della pensione. - Viene rimandata alla successiva riforma, ma vanno almeno esplicitati in modo chiaro i principi e definiti tempi congrui e non eccessivi. In particolare va riconosciuto il periodo di convivenza pregressa.
9. Impresa familiare. - Viene riconosciuta al partner la partecipazione agli utili, ma non ai miglioramenti dell'impresa e non si tiene conto del lavoro casalingo.
10. Graduatorie lavorative. - Va definito in modo vincolante il diritto ad un punteggio e vanno abbassati i tre anni previsti, che penalizzano le coppie giovani. [10] »

Opinioni[modifica]

Copertina del libro del senatore di AN Alfredo Mantovano, contro i Dico.

Gianfranco Fini (Alleanza Nazionale), 10 febbraio 2007.[modifica]

« Non possiamo non evidenziare che il ddl governativo tende surrettiziamente a equiparare la famiglia fondata sul matrimonio ad altre unioni. Come giudicare infatti l' articolo 1 che, attraverso una registrazione anagrafica, attribuisce rilevanza giuridica pubblica a una convivenza che, con grande ipocrisia, si prescrive debba essere stabile senza però alcuna indicazione in merito alla durata? (un mese? un anno? cinque?). (...) L' unica spiegazione possibile è che il governo abbia voluto, anche a costo di scontentare l'Udeur, presentare una legge dal forte valore ideologico e simbolico, prevista nel programma, ma gradita solo a chi confonde la laicità delle istituzioni (che è un valore!) con uno stantio laicismo anticlericale. In altre parole, col pretesto del riconoscimento dei giusti diritti dei conviventi, il Governo ha alzato la bandiera ideologica di chi non avverte la necessità di tutelare i diritti della famiglia.[11] »

Roberto Calderoli (Lega), 31 marzo 2007[modifica]

« Se ancora non si è capito, essere culattoni è un peccato capitale e, pertanto, chi riconosce per legge una cosa del genere è destinato alle fiamme dell'inferno... L'etica nel discorso di Bagnasco c'entra fino ad un certo punto: i Dico, l'omosessualità, non sono soltanto contro l'etica ma anche contro natura, e quindi destinati all'estinzione. Certo non è automatico il passaggio dai Dico alla pedofilia e all'incesto, ma è evidente che nelle società dove si è aperto ai Dico si è poi aperto sucessivamente anche alla pedofilia e all'incesto.[12] »

Enrico Oliari (Gay Lib), 9 marzo 2007[modifica]

« I Di.Co, insomma, sono una forma di bizantinismo violento, dove noi gay che conviviamo non vedremmo riconosciuto neppure il diritto di essere coppia. E da qui l'analisi potrebbe scendere nel tecnico, dove i furbi avrebbero vita facile per non pagare gli alimenti all'ex coniuge o per regolarizzare la badante straniera senza versare i contributi. (...)

Un disegno di legge pasticciato, quindi, che (...) delude profondamente chi, come me, si ritiene liberale, ovvero che vede nell'allargamento dell'istituto civile del matrimonio alle coppie omosessuali, l'unica soluzione che garantirebbe, senza intoppi giuridici, uguaglianza fra i cittadini e quindi parità di diritti e di doveri. [13] »

Gianluigi Melesi e Giuliano Federico (Gay.tv), 19 febbraio 2011[modifica]

« Il Ministro Bindi propose i famosi DICO, un'accozzaglia di proposte persino peggiorative della legislazione delle sentenze. I DICO garantivano pochi diritti e solo dopo sette anni di convivenza o quindici. Il disegno di legge dei DICO era così improbabile da essere stato ritenuto dalla commissione affari sociali della Camera "irricevibile", perché pieno di strafalcioni, contraddizioni e persino contrario a molte sentenze della Corte Costituzionale (es. il diritto di subentro immediato dei conviventi nel contratto d'affitto: per i DICO si parlava di 5 anni). [14] »

Gabriele Strazio e Matteo Winkler (2011)[modifica]

« Nell'alternativa tra Pacs e Unione civile, il governo aveva scelto una terza via. Non vi era infatti nel progetto di legge sui Dico alcun accenno alla struttura contrattuale tipica del Pacs. "Manca il contratto", come giustamente è stato osservato. Ma viene da chiedersi a che cosa pensassero i redattori del disegno di legge: se si fosse avuto in mente qualcosa di diverso dal Pacs - e certamente era così (...) - si sarebbe dovuto creare un istituto riservato alle coppie omosessuali. Niente di tutto ciò, invece. Il legislatore si è inventato una soluzione "all'italiana", rimanendo così impantanato sin da subito. [15] »

Dario Accolla (2012)[modifica]

« È singolare notare che il (...) partito dei Ds (...) con ogni evidenza aveva accettato di mettere la sua firma in un provvedimento che "teneva conto delle esigenze dei vescovi".

Fatto curioso, qualora non singolare, perché la legge in questione non era stata chiesta dalla Chiesa cattolica, che invece l'aborriva, quanto dalla comunità omosessuale italiana.
Per fare un parallelo: cosa si direbbe, (...) se una legge sulla protezione di specie animali a rischio venisse ispirata ai principi (e alla volontà) di una corporazione di bracconieri? [16] »

« I DiCo, invece, proprio per compiacere i vescovi, partivano da una filosofia inversa: non si trattava di equiparare coppie non sposate (...) a quelle sotto regime matrimoniale con una serie di diritti in comune (magari non tutti), ma si stabilivano le limitazioni di certi diritti e la totale esclusione di altri ancora.

Questo capolavoro di sintesi tra una cattolica che non ha mai rinunciato a essere tale e un'ex comunista il cui partito di riferimento faceva di tutto perché si perdesse memoria delle proprie origini, sanciva delle discriminazioni, sotto forma di legge dello Stato.
La filosofia guida di questa, per stessa ammissione delle sue relatrici, era quella di distinguere tra famiglie e coppie, senza per altro tutelare queste ultime. [17] »

Note[modifica]

  1. Il Consiglio dei ministri approva i Dico, "La Repubblica.it", 8 febbraio 2007.
  2. Giovanna Casadio, Il vertice dei 60 della Margherita. "Ma la nostra Nota è la Costituzione", "La Repubblica", 29 marzo 2007. I neretti sono stati aggiunti.
  3. Gabriele Villa, È più facile divorziare che uscire dal Dico, "Il Giornale", 13 febbraio 2007.
  4. "Lei si sfoga: i vescovi non si rendono conto che è più pericoloso quanto previsto dal manifesto per il Family day, cioè un contratto tra conviventi che è un simil-matrimonio però privato, piuttosto della soluzione trovata con i Dico". Giovanna Casadio, Il vertice dei 60 della Margherita. "Ma la nostra Nota è la Costituzione", "La Repubblica", 29 marzo 2007.
  5. "I vescovi che non volevano i Dico, dicevano che era un matrimonio. Voi non volete le unioni civili e dite che sono un Dico". (...) "Ve la racconto così: i vescovi rimpiangono i Dico, e voi rimpiangerete le unioni civili, se continuate ad andare avanti così con queste posizioni massimaliste". Raffaello Binelli, Gay, Bindi contestata alla Festa dell'Unità , "Il giornale", 19 luglio 2012, e Irene Buscemi, Matrimoni gay, Bindi: 'Costituzione li vieta'. E scoppia la bagarre alla festa dell'Unità, "Il fatto quotidiano Tv, 19 luglio 2012 (registrazione video).
  6. Francesco Agnoli, I Dico non si fanno per rispetto della libertà, "Avvenire", 16 febbraio 2007; Giacomo Galeazzi, Dico, cavalli di Troia per arrivare ai matrimoni gay, "La Stampa"; 18 febbraio 2007.
  7. Anonimo, Bagnasco: "No ai Dico come alla pedofilia" "La Repubblica", 31 marzo 2007. Si veda anche: Anonimo, La sinistra contro Bagnasco. Mastella: "Atteggiamenti isterici", 31 marzo 2007.
  8. Su cui v. Antonio Rotelli, I Contratti di Unione Solidale: luci e ombre, in Francesco Bilotta (a cura di), Le unioni tra persone dello stesso sesso. Profili di diritto civile, comunitario, comparato, Mimesis edizioni, Milano, 2008, p. 247.
  9. Al riguardo si vedano le critiche che Francesco Bilotta ha rivolto pubblicamente al Ministro Rotondi, uno dei proponenti del disegno di legge, in occasione di un convegno tenutosi a Genova durante il Gay Pride del 2009.
  10. Sergio Lo Giudice, Dieci regole per migliorare il Dico, Sito di Arcigay, 8 febbraio 2007.
  11. Gianfranco Fini, Un laicismo ideologico, "Corriere della sera"; 10 febbraio 2007. Cfr. anche: Fabrizio De Feo, E Fini annuncia le barricate: «No ai matrimoni di serie B», "Il Giornale", 11 febbraio 2007.
  12. Anonimo, La sinistra contro Bagnasco. Mastella: "Atteggiamenti isterici", 31 marzo 2007.
  13. Enrico Oliari, DI.CO. sì, ma con molte perplessità, "Aprileonline", 9 marzo 2007.
  14. Gianluigi Melesi e Giuliano Federico, in: Rosy Bindi e i gay, "Gay.tv", 19 febbrio 2011.
  15. Gabriele Strazio e Matteo Winkler, L'abominevole diritto. Gay e lesbiche, giudici e legislatori, Il saggiatore, Milano 2011, p. 158.
  16. Dario Accolla, I gay stanno tutti a sinistra, Aracne, Roma 2012, p. 35.
  17. Dario Accolla, I gay stanno tutti a sinistra, Aracne, Roma 2012, p. 36.

Voci correlate[modifica]

Link esterni[modifica]

Bibliografia[modifica]

  • Francesco Mario Agnoli, Attacco alla famiglia. Pacs, unioni omosessuali, DICO, Fede & Cultura, 2007. ISBN 978-8889913437.
  • Paolo Arsena, Eresie laiche. Idee di progresso per una nuova convivenza sociale, UNI Service, 2009, pp. 106-109. ISBN 978-8861783843.
  • Lelio Barbiera, Le convivenze paraconiugali: dai PACS ai DICO, Cacucci, 2007. ISBN 978-8884225955.
  • Carlo Casini, Unioni di fatto, tra ideologia e realtà, SEF, Firenze 2007. ISBN 978-88-6032-043-8. Con testo commentato della proposita di legge sui Dico.
  • Fulvio De Giorgi, Il brutto anatroccolo: il laicato cattolico italiano, Paoline Editoriale Libri, 2008 (seconda edizione), pp. 125-134. ISBN 978-8831534123.
  • Gian Mario Felicetti, La famiglia fantasma: DiCo, PACS e matrimoni omosessuali: la politica italiana in crisi, Libreria Croce, Roma 2007. ISBN 978-8889337486.
  • Alfredo Mantovano, La guerra dei "dico", Rubbettino, 2007, ISBN 978-8849818048. Testo di un senatore di An, vuole "dimostrare che l'intento principale, se non esclusivo, di chi vuol introdurre i "Dico" o i Pacs è non già allungare l'elenco dei "diritti individuali", bensì il riconoscimento pubblico delle unioni civili, e in particolare di quelle fra omosessuali. E se invece si dedicasse un po' di interesse al soggetto che oggi è concretamente discriminato, e cioè alla famiglia, come "società naturale fondata sul matrimonio"? Recensioni (favorevoli) di questo testo sono antologizzate qui.
  • Gabriele Strazio e Matteo Winkler, L'abominevole diritto. Gay e lesbiche, giudici e legislatori, Il saggiatore, Milano 2011, pp. 157-162. ISBN 978-8842816669.