Pancrazio Buciunì

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Voce a cura di Giovanni Dall'Orto, liberamente modificabile.
Pancrazio Buciunì (1879-1963) detto "il Moro".

Pancrazio Buciunì (a volte scritto anche "Bucinì"[1]; Taormina, 28 giugno 1879 - Taormina, 30 gennaio 1963), soprannominato "u Moru", è stato l'assistente principale del fotografo Wilhelm von Gloeden, e un fotografo di nudo maschile.

L'assistente di Gloeden[modifica]

Non sono note le circostanze in cui Buciunì entrò al servizio di Gloeden[2], per il quale posò anche per alcune fotografie, non ancora identificate con certezza[3]. Molti scritti su Gloeden affermano con sicurezza, riprendendo il dato l'uno dall'altro, che il soprannome "Moro" ("nordafricano"), che i suoi figli e nipoti e pronipoti hanno ereditato (anche al femminile: "'a Moru") era dovuto a una carnagione molto scura. Tuttavia, le foto di Buciunì che sono riemerse lo mostrano di pelle normalmente chiara[4].

Pancrazio era originario d'una famiglia di pescatori, ma secondo la memoria dei suoi discendenti[5] la frequentazione pluridecennale con Gloeden gli aveva permesso di costruirsi una cultura, per l'epoca, rispettabile. Gloeden stesso lo aveva mandato a Catania per farlo studiare, pagandogli un corso di tecnica fotografica[6]. Fra le altre cose Pancrazio sapeva stampare fotografie e usare gli apparecchi fotografici di Gloeden, e se la cavava col francese abbastanza da gestire i rapporti coi clienti stranieri[7].

Si è spesso speculato su una possibile relazione fra l'adolescente Pancrazio e Gloeden ma, se pure è quasi scontato che viste le circostanze essa ci sia stata, si trattò d'un episodio transitorio, secondo la tradizione mediterranea[8], concluso il quale Buciunì restò sì nella vita del "barone fotografo" come principale collaboratore, ma sposandosi e generando sei tra figlie e figli (i cui discendenti abitano ancora a Taormina)[9]. Inoltre, nella memoria orale Pancrazio viene descritto anche come intermediario/interprete fra Gloeden e i ragazzi del luogo: Gloeden se la cavava egregiamente con l'italiano standard, ma il dialetto taorminese era tutt'altra storia.

Il ruolo di Buciunì nell'azienda di Gloeden fu insomma quello del "tuttofare" di fiducia: dalla cura del giardino e degli animali, fino al disbrigo degli affari quotidiani della casa e della ditta, ivi compreso l'aiuto nello studio fotografico e il rapporto coi clienti ordinari.
Zinaida Gippius parla nel 1899 d'un altro tuttofare di Gloeden, "Luigi" (la cui descrizione fisica non combacia con quella di Buciunì), in questi termini:

« Luigi è il braccio destro del barone. Si occupa della vita domestica e stampa le fotografie (ha d'altronde anche un assistente, Mino). L'aspetto esteriore di Luigi è straordinario. Quando guardi questo volto selvaggiamente stupendo con il naso corto, con le sopracciglia, che stranamente spiccano il volo - sembra di vedere un fauno vivo di tempi immemorabili[10]»

Un'altra descrizione, risalente al 1903, è però più esplicita sul ruolo di "facente funzioni" (nonché di ex modello di nudo di Gloeden) di Buciunì:

« In assenza del barone, fummo ricevuti da un giovane dagli occhi molto intelligenti che fece gli onori di casa e ci introdusse in una specie di salotto molto modesto.

Alle pareti, studi, bozzetti e un pessimo ritratto maschile risalente a tempi ormai assai lontani, quando anche in Germania imperversava la cosiddetta pettinatura "alla Capoul”. "Il barone", ci dice il giovane assistente.
"Ma", aggiunge in italiano, "ora non è più lo stesso".
Dopodiché, ci mostra tutti gli album delle stampe che sono in vendita, e ci vende il proprio ritratto nel sommario costume che qui si adotta, molto volentieri, pare, per farsi fotografare e, con garbata attenzione, lo firma con il suo nome: “Pancrazio Buciunì”.
Tutta Taormina deve essere passata davanti all'obbiettivo del barone de Gloeden. (...) Pancrazio ha convenuto, tuttavia, che i modelli più belli sono di Napoli.[11]»

La prima guerra mondiale e la fine della storia[modifica]

Lo scoppio della Grande Guerra segnò la fine della carriera di Gloeden, che da quel momento in poi fu a poco a poco dimenticato dal pubblico, che considerava ormai superata sia la sua concezione dell'arte, che quella del nudo.

Durante la prima guerra mondiale tutti i bene di Gloeden, come proprietà di un suddito nemico, furono sequestrati, e in tale condizione risultavano ancora nel 1922. Gloeden ovviamente evitò di tornare in Italia, evitare la sorte di Otto Geleng, internato in un campo di concentramento per residenti nemici nonostante fosse cittadino italiano e avesse due figli nell'esercito italiano. Tuttavia, con un gesto di riguardo, la curatela dei suoi beni fu affidata a Buciunì (arruolato nella guardia costiera, di stanza a Taormina) che provvide anche alla cura degli animali. Per dare notizia dei quali continuò a corrispondere con Gloeden tramite un comune amico in Svizzera, l'albergatore Karl Kochel[12].

La censura militare, insospettita dalle lettere che non solo parlavano del "corvo", del "tacchino" e del "cane", ma facevano spesso il nome di persone tutte di sesso maschile, pensò che si trattasse di nomi in codice, e mise sotto accusa il Moro per spionaggio e connivenza col nemico (un reato per cui era prevista la pena di morte). Fortunatamente le cose furono chiarite e prosciolto in isctruttoria, ma non prima che Buciunì avesse trascorso tre mesi in carcere e fosse stato minacciato di fucilazione per tradimento[13].

Dopo la fine della guerra non si ha quasi più notizia di Gloeden, che dev'essersi trovato nell'impossibilità di esercitare, e certamente aveva ormai rinunciato a scattare fotografie. Un rapporto del 1926 sulle nuove acquisizioni dello "Smithsonian Institute" definisce le sue foto ormai "molto rare" e "difficili da trovare"[14]. Gli annuari del commercio del 1923 e 1927 non citano più il suo nome fra quelli dei fotografi attivi a Taormina. Il nome di Gloeden ricomincia ad apparire poco prima della morte, attorno al 1928[15]. Secondo la tradizione orale Buciunì sarebbe rimasto ininterrottamente al loro servizio, fino alla morte di entrambi. Tuttavia, è assai più probabile che negli ultimi anni egli abbia soprattutto sovrainteso alla gestione di quanto era rimasto della ditta, affiancato anche dai figli maggiori[16].

Erede di Gloeden[modifica]

Timbro e sigla di Buciunì su una foto di Gloeden.

Sembra infatti probabile che negli ultimi anni di vita di Gloeden la gestione dell'azienda, ormai molto meno redditizia che ai "tempi d'oro"[17] ma non priva di valore, sia stata affidata a Buciunì.

Del resto, sulla denuncia della morte di Gloeden, effettuata da Buciunì, egli dichiarò di svolgere la professione di "fotografo"[18].

Dopo la scomparsa di Gloeden, avvenuta il 16 febbraio 1931, essendo stata venduta poco prima della morte la casa di proprietà (nella quale abitò per tre anni il barone von Stempel), a Pancrazio Buciunì rimase solo l'azienda fotografica. Il lascito non fu formalizzato per testamento, ma avvenne grazie alla rinuncia della sorellastra e unica erede legittima di Gloeden, Frieda von Hammerstein, alla ditta fotografica del defunto. Ci è rimasta la lettera, dell'ottobre 1931, in cui costei dichiarò a Buciunì:

« Signor Pancrazio Moro, per i Suoi meriti a riguardo del mio defunto fratello sono ben volentieri pronta a prestarLe il mio aiuto e con ciò dichiaro, ad uso dell'autorità competente, che, quale unica erede di mio fratello, del signor Guglielmo von Gloeden, deceduto a Taormina, cedo a lei tutti i diritti inerenti alla ditta del defunto in Taormina. La prego ancora una volta d'urgenza d'inviarmi subito per raccomandata il testamento non sottoscritto di mio fratello che Lei conserva[19]»

Entro la fine dello stesso 1931, Pancrazio Buciunì versò le 500 lire necessarie per ottenere la licenza di vendita al pubblico di "fotografie ed affini", e aprì un negozio in Corso Umberto 289/290 (oggi 189/191), in società con Giovanni Malambrì (1913-1979), che era stato anch'egli assistente di Gloeden, e con un fratello di Giovanni Malambrì[20]. Tale licenza,

« come risulta al n. 1312 del "Registro generale degli esercenti autorizzati alla vendita" del comune di Taormina, gli venne rinnovata nel 1934 e successivamente nel marzo 1937, quando trasferì il suo negozio in piazza S. Antonio[21]»
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Il negozio di Pancrazio Buciunì fra il 1931 e il 1937.

Il 9 aprile 1933 iniziano però i problemi. Il "questore di Messina Comm. Lauricella ordinò e fece eseguire una perquisizione (...) che portò al sequestro di un migliaio di negativi e di oltre duemila foto", con l'accusa di oscenità. Il materiale sequestrato non fu più restituito[22].

Ciononostante, come visto, nel 1934 e nel 1937 Buciunì ottiene il rinnovo della licenza di vendita e infine trasferisce il negozio in piazza S. Antonio[23]. Purtroppo nel marzo 1939, in seguito a una denuncia anonima, il maresciallo Salvatore Allegra esegue una nuova perquisizione e un nuovo sequestro ai danni di Buciunì[24], innescando un processo, di cui si dirà fra poco, che avrebbe posto alla sua attività di commerciante.

L'attività testimoniata dal timbro "Pancrazio Buciunì Moro - già Wilhelm von Gloeden" va quindi dal 1931 al 1939.

Il negozio offriva stampa e sviluppo di fotografie, e servizi fotografici su misura, ma anche la vendita di ristampe dell'archivio Gloeden[25]

Buciunì fotografo[modifica]

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Buciunì con uno dei tre apparecchi fotografici di Gloeden.

Roger Peyrefitte ha trasmesso un'immagine eccessivamente "semplificata" di Pancrazio Buciunì, facendone un servitore che sudava sotto il sole trasportando i pesanti apparecchi fotografici, mentre egli era di corporatura minuta, e Gloeden attestò di aver trasportato da sé il prezioso e fragile apparecchio[26]

Questa immagine ha indotto a trascurare le testimonianze che ci dicono che Buciunì fu in realtà anch'egli un protagonista attivo dell'avventura artistica di Gloeden, e non solo un soggetto passivo. Come già anticipato, Gloeden gli aveva dato la possibilità di studiare fotografia. Non sorprende quindi trovare attestazioni del coinvolgimento di Pancrazio nello studio fotografico di Gloeden, la cui gestione materiale restava affidata a lui, specie durante le frequenti assenze da Taormina del barone.
Buciunì padroneggiava la complessa tecnica per sviluppare su carta all'albumina o salata, con il metodo arcaico ma più raffinato e difficile della stampa per contatto. Parecchie stampe all'albumina riportano infatti sul retro la sigla "BP", che successivamente appare anche sulle ristampe del dopoguerra, quando il fondo di Gloeden era nelle mani del "Moro", ed è quindi identificabile come la sua sigla[27] Inoltre Buciunì ebbe anche un'attività come fotografo, come dichiarò esplicitamente nel processo intentatogli nel 1939:

« A nulla valsero le proteste e le istanze del sottoscritto per la restituzione del materiale sequestrato [nel 1933]: egli dovette rassegnarsi a continuare il suo lavoro coi residui dell'assortimento Von Gloeden e con alcune più recenti - ma meno artistiche - negative di sua produzione[28]»
Timbro di Buciunì su una stampa di Gloeden datata 16/5/1914.

Ipoteticamente si possono identificare con queste "negative di sua produzione" alcune stampe del catalogo di Gloeden con numerazione elevata (oltre il n. 2800), caratterizzate da una messa in posa e da espressione dei visi meno curate rispetto alla maniacale attenzione del barone, da pettinature che "datano" agli anni Venti, e da un approccio più crudo e quasi "documentario", nel quale è assente l'elemento idealizzato tipico delle foto di Gloeden[29].

Del resto un approccio più "documentario" prevale anche nelle immagini di paesaggio (peraltro spesso molto belle) che abbondano nei numeri finali del catalogo, rendendo lecito il sospetto che anche queste possano essere opera del Buciunì.

Va infine tenuto presente il fatto che dopo il 1908/10 Wilhelm von Gloeden, per le crescenti minacce di azioni giudiziarie, scelse un "basso profilo" e smise (o quasi) di fotografare, dedicandosi semmai a valorizzare la sua "banca d'immagini" in mostre ed esposizioni che spaziavano da Parigi ad Algeri, quindi è logico ipotizzare che la gestione del laboratorio fosse stata delegata sempre più a Buciunì.[30].

Il fatto che Buciunì ebbe una sua produzione autonoma di nudo, per quanto commercializzata sotto il più noto nome di Gloeden, è poi espressamente confermato dall'impugnazione del Pubblico ministero Francesco Panetta dell'assoluzione di Buciunì in primo grado, il 17 ottobre 1940. Panetta accusò di:

« aver ricercato - sia Gloeden che Bucinì - i contadini del territorio e i giovani della città di Taormina forniti di membri più sviluppati, in modo da ritrarli completamente nudi e allo scopo di far risaltare i loro organi genitali[31]»

confermando che l'ex assistente non fu accusato solo d'aver smerciato foto "pornografiche", ma anche di averle prodotte di persona.

Dunque, negli anni a venire sarà opportuno esaminare la tarda opera di Gloeden per cercare di scorporarne le immagini che, dallo stile, rivelano un autore diverso dal "barone fotografo", restituendo a Buciunì quel ruolo di fotografo di nudo maschile nell'Italia d'anteguerra che in questo momento gli è negato.

Processi e assoluzione[modifica]

Già nel 1933, come anticipato, si ebbe un primo sequestro con l'accusa di pornografia di una parte dell'archivio Gloeden da parte delle autorità di polizia fasciste, che non la restituirono più:

« Nei primi mesi del 1933, l'allora questore di Messina Comm. Lauricella ordinò e fece eseguire una perquisizione nello studio del sottoscritto che portò al sequestro di un migliaio di negativi e di oltre duemila foto. Motivo del provvedimento - secondo l'Autorità di P.S. - che il materiale di cui trattasi era offensivo della morale pubblica, dato che i mezzi nudi e i nudi, per quanto artistici, rivelavano un'audacia che (...) mal si confaceva alle direttive del Regime in materia di buon costume[32]»

Nonostante la perdita Buciunì proseguì l'attività, continuando, secondo le sue stesse parole, "sotto l'egida della legge, a esporlo e a offrirlo ai visitatori del suo studio per tanti anni ancora"[33]. Nel 1939, però, s'ebbe un ulteriore giro di vite, e molti negativi (su lastra di vetro) furono confiscati dalla polizia, sempre con l'imputazione di pornografia. Anche se, reso prudente dall'esperienza precedente, e forse preavvertito dell'imminente raid, Buciunì aveva prudentemente murato le negative più "compromettenti", salvandole.[34].

Sorprendentemente, Buciunì fu assolto il 17 ottobre 1940, ma contro l'assoluzione fece ricorso il pubblico ministero, Francesco Panetta.
Nonostante una perizia sfavorevole, di un certo prof. Bottari (2/1/1940), Buciunì infine fu nuovamente, e definitivamente, assolto il 30/5/1941 con questa significativa motivazione:

« Nel caso in esame, come bene ha osservato il prof. Bottari, molte delle fotografie sequestrate al Bucinì rivelano il cattivo gusto dell'artista, in quanto ha cercato di imitare antiche statue e scene classiche senza riuscire a dare l'espressione artistica alla figura che è caduta nel triviale. Il collegio giudicante però non può far proprio il giudizio espresso dal perito giudiziario, e ha ragione di dubitare circa lo scopo propostosi dal fotografo Bucinì di servirsi delle fotografie come mezzo di oscena eccitazione.

Il Bucinì ha affermato di avere ereditato lo studio artistico, che ha in Taormina, dal tedesco Gloeden. Il materiale fotografico costituito da migliaia di fotografie e di positive ha un valore patrimoniale e non è privo di valore artistico, tant'è vero che gran parte di esso non fu sequestrato dall'Autorità di P.<ubblica> S.<icurezza> di Taormina, ma fu lasciato al fotografo, e un'altra parte, com'è stato riconosciuto dal perito, può essere messa in commercio. Ciò conferma il Tribunale nell'opinione che il Bucinì, il quale ha sessant'anni circa e non ha riportato condanna alcuna, non si serve del suo mestiere di fotografo e del commercio della fotografia a scopo di oscena eccitazione tra le persone che costituiscono la sua clientela.
Nel fatto per il quale il Bucinì è stato tradotto a giudizio sotto l’imputazione di avere commesso il delitto previsto dall'articolo 528 del c.<odice> p.<enale>, il Tribunale non ravvisa gli estremi di detto delitto, perché pur ritenendo che le fotografie sequestrate raffiguranti personaggi nudi, in pose statuarie ammantati all'antica, rivelino il vago sfogo dell'artista d'imitare scene classiche, e diano, invece, l'impressione del cattivo gusto dello stesso, sicché non possono avere alcun valore commerciale, nondimeno non crede che dette fotografie potessero costituire ragione di scandalo e per tale considerazione stima di mandare assolto il Bucinì dall'imputazione ascrittagli[35]»

Purtroppo una parte dei negativi uscì frantumata dalla prova.

Nel dopoguerra[modifica]

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Buciunì in tarda età (attorno al 1952) con un catalogo di Gloeden.

L'assoluzione dal processo significò solo la fine d'un incubo, ma non la possibilità d'un nuovo inizio. Solo dopo la fine della guerra Buciunì riuscì infatti a recuperare il materiale sequestrato e quello nascosto.
Inoltre gli eventi bellici (nel corso dei quali Pancrazio aveva perso la figlia Natala, scomparsa nel 1943 a Catania durante un bombardamento Alleato[36], e aveva visto il figlio Alfio deportato in Germania come prigioniero di guerra[37]) avevano in pratica azzerato l'industria turistica, di cui ormai viveva Taormina, e quindi la potenziale clientela del Moro. Quanto alle vendite per corrispondenza, le nazioni uscite esauste dal conflitto avevano tutte imposto una rigida limitazione delle esportazioni di capitale, quindi il mercato estero in quel periodo era in pratica chiuso.

L'immediato dopoguerra fu un periodo di gravi ristrettezze economiche, se non di vera e propria fame, per l'intera cittadina[38]. Il Moro dovette ingegnarsi a trovare altri mezzi di sostentamento; addirittura Roger Peyrefitte nel 1949 lo definì:

« Il suo erede, il fedele Moro, oggi semplice pescatore[39]»

È lecito dubitare che a quasi settant'anni Buciunì potesse far concorrenza nel mestiere di pescatore ai molti giovanotti disoccupati: una diversa tradizione dice infatti che egli semplicemente "fece la stagione" come cameriere su una nave da crociera. Tuttavia è confermato dai discendenti che egli sopravvisse anche fabbricando reti da pesca, pare con buon successo perché s'era sparsa la voce che le sue reti "portavano fortuna" ai pescatori.

Inaspettatamente, proprio la pubblicazione nel 1949 del romanzo breve di Roger Peyrefitte, Eccentrici amori, che ebbe un notevole successo in tutto il mondo, rilanciò il nome di Wilhelm von Gloeden fra una nuova generazione di omofili, che iniziarono a contattare il Moro per comprare immagini del barone[40]

A questo traffico, drasticamente diminuito rispetto al passato, Pancrazio provvide fino alla morte (avvenuta nel 1963) affidandosi per la stampa prima al fotografo Gaetano D'Agata[41], e dopo la sua morte, avvenuta nel 1949, al già citato Giovanni Malambrì. Allo smercio a Taormina provvedeva invece il negozio di un altro ex-modello di Gloeden, Francesco Raya (1904-1974), in Corso Umberto.

Ormai anziano e già bisnonno, Buciunì cercò di monetizzare una volta per tutte l'archivio di Gloeden, ma invano. Orio Vergani, nel febbraio 1952, nel sancire l'avvenuta fine del turismo omosessuale d'anteguerra a Taormina (ignorando che sotto i suoi occhi era già iniziata la nuova fase del turismo omosessuale del dopoguerra) descrive il Moro come ormai "in disarmo":

« "Oggi Taormina è 'sana' come qualunque altro luogo del mondo: e si indicano come casi bizzarri gli ultimi soggetti 'Wildiani' che lentamente vi invecchiano dediti, per esempio, nel loro isolamento, alla femminile arte del ricamo. L'antico custode della casa del barone tedesco Von Gloeden, il fotografo degli efebi, credo chieda molto inutilmente sei milioni (circa 100.000 euro del 2023, NdR) per le seimila negative che gli sono rimaste in eredità nell'antico studio". [42]»

L'Archivio gay svizzero di Zurigo conserva[43] alcune lettere tra un collaboratore e il redattore e collezionista Charles Welti (pseudonimo del banchiere Eugen Laubacher), risalenti al novembre 1951 e al dicembre 1952, che discutono l'invio di 401 fotografie dal "Moro" di Taormina, in vendita al prezzo di un franco svizzero l'una per il formato 13x18 e due franchi per quello 18x24. In tutto Der Kreis avrebbe acquistato 82 immagini[44]
62 di queste foto sono oggi nelle collezioni dell'Archivio, le altre furono usate per doni, o vendute ai soci (ma senza eccessivo successo, "perché sono un poco obsolete" rispetto alle proposte della foto "beefcake" provenienti dagli Usa). Qualcuna fu anche pubblicata sulla rivista Der Kreis[45]. Il corrispondente di Welti specifica inoltre di aver interrogato su Gloeden il "Moro" (che lui definisce "factotum" e "servitore"), il quale gli aveva detto che Peyrefitte aveva romanzato molto, nel suo racconto, distorcendo i fatti. Il Moro aveva poi specificato che il suo rapporto con Gloeden era nato esclusivamente dal bisogno economico, e che ben poco gliene era restato, visto che la casa e le proprietà erano andate ad altri. Solo materiale di poco valore: perfino le medaglie non erano rivendibili perché erano di latta e stagno, non d'oro.

Peyrefitte aveva però intenzionalmente esagerato la condizione di "uomo del popolo" e "semplice" di Buciunì, che al contrario ebbe sempre la chiara coscienza del valore (anche economico) delle immagini in suo possesso, dimostrandosene uno scaltro e geloso custode e mercante.
Tant'è che approfittando del successo del romanzo francese il Moro vendette nel 1953 all'agenzia Olivier (oggi Roger Viollet) diverse stampe[46].

Nel 1955 ricevette anche la visita di Alfred Kinsey, che stava progettando il terzo volume (mai uscito) del suo "Rapporto sulla sessualità umana", sull'omosessualità. Buciunì era in possesso d'una raccolta completa dei positivi di Gloeden, scampata al sequestro; Kinsey gli comprò circa 300 stampe[47].

Buciunì fu nominato ancora in un articolo di quotidiano del 1959:

« Contemporaneamente è però possibile scoprire, un volto diverso della città, un aspetto, casalingo e bottegaio, dimesso e quasi estraneo al variopinto cosmopolitismo che la invade. L'ottuagenario Pancrazio Bucinì, detto il Moro, può raccontarmi con sereno distacco come il suo aristocratico principale andasse a cercare modelli per le sue fotografie tra pescatori e mulattieri mentre la figlia maggiore muove le pentole e le sue nipoti stanno ad ascoltare. Ogni accostamento, anche il più ardito, trova nell'aria di Taormina una sua, paradossale, giustificazione. (...)

Sono gente umile, pescatori, barcaioli, cocchieri che si sono visti soppiantare dai motoscafi e dai tassì, un po' all'antica, come Pancrazio Bucini, diventato archivista di un mondo e di un costume irrepetibile. I giovani la pensano diversamente, corrono ebri di sole lungo la strada tortuosa sulle motociclette frastornanti, gridano frasi audaci alle mature ed estasiate turiste nordiche.[48] »

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Buciunì nei tardi anni Cinquanta con i pronipoti.

Gli ultimi anni della lunga vita di Buciunì furono condizionati dai postumi d'un serio incidente, dovuto alla caduta in strada d'un pezzo di balcone mentre egli portava a spasso le (pro)nipotine. Buciunì fu colpito alla spalla, e di striscio anche al cranio[49].
Alla morte, Pancrazio fu sepolto nel cimitero di Taormina, dove tuttora esiste la sua tomba, condivisa col figlio Vincenzo Buciunì (1912-1997).

Dopo la morte[modifica]

Dopo la morte del Moro, nel 1977, Vincenzo Buciunì[50], stante il rifiuto del Comune di Taormina di farsene carico, vendette in blocco al gallerista d'arte napoletano Lucio Amelio (1931-1994), 878 lastre negative e 956 positivi (a fronte d'un catalogo gloedeniano che oltrepassa di poco i 3000 numeri).

Dopo la morte di Amelio, il fondo ex-Buciunì fu acquistato nel 1999-2000 dal museo Alinari di Firenze[51].

Nel 2021 i problemi economici della Fondazione Alinari hanno infine portato la Regione Toscana ad acquistare il fondo Gloeden, per preservarlo e renderlo nuovamente accessibile in futuro al pubblico[52].

Una parte del fondo Gloeden (una macchina fotografica e i faldoni-catalogo dei positivi) è stato a lungo in possesso, a Taormina, di Nino Malambrì, a cui era giunta attraverso Francesco Raja (1904-1974). Una parte di tale lascito, che include un centinaio di positivi, la macchina fotografica 18x24 e le foto private di Gloeden, è stata acquistata dal Comune di Taormina nel 2023, grazie alla sponsorizzazione d'una casa di moda. Il Comune di Taormina ha in progetto di destinarle al Museo cittadino che intende costruire.

Race d'ep! (1979) e Il barone e il cameriere (2020)[modifica]

A tutt'oggi manca una ricostruzione biografica attendibile su Pancrazio Buciunì.
Nel 1979 Guy Hocquenghem e Lionel Soukaz introdussero una conversazione immaginaria con il Moro, che rievocava il suo tempo con Gloeden, nella loro docu-fiction Race d'ep!. Si tratta però d'un dialogo interamente immaginario, frutto di creazione letteraria e privo di valore come documento storico.

Anche nel romanzo-biografia di Lorenzo Triolo, Il barone e il cameriere[53], che ha come "io narrante" proprio Buciunì, le notizie non sono basate su una ricerca storica originale, ma ripetono dati rinvenuti in Rete o già contenuti in libri su Gloeden, inserendoli in una cornice di pura fantasia narrativa.

Note[modifica]

  1. Nella supplica al Duce oggi conservata presso la fondazione Alinari di Firenze, relativa al sequestro delle lastre di Gloeden, Pancrazio si firma "Buciunì (già Bucinì)".
  2. Secondo la tradizione orale, attorno al 1893, quando aveva quattordici anni; mancano però conferme scritte.
  3. Un candidato che torna con insistenza nel dibattito è il modello di questa immagine, vista la statura minuta e la pelle molto scura, tuttavia in un catalogo di Gloeden oggi alla Fondazione Alinari è chiamato ripetutamente "Pinuccio". Inoltre questo modello appare in una foto datata 1886 (la numero 76) con un'età apparente di quattordici anni, laddove Buciunì nel 1886 avrebbe avuto solo sette anni. Purtroppo fra le foto conservate dagli eredi non ne appare nessuna di Pancrazio da piccolo o da giovane, il che non sorprende, visto che nel 1879 la fotografia era un lusso costoso, non certo alla portata di famiglie di pescatori.
  4. È quindi possibile che il soprannome (o '"ngiuria", che a Taormina passava da una generazione all'altra) facesse riferimento alle caratteristiche fisica di un qualche suo avo e fosse stato ereditato, come avviene nel caso di cognomi analoghi come "Saracino" o "Saraceno". Per spiegare il soprannome privo di corrispondenza nell'aspetto fisico, l'antiquario Giovanni Panarello raccontava una storiella paraetimologica che affermava che Pancrazio da giovane era caduto in un fossato, dal quale si lamentava dicendo: "Moru, moru" ("Muoio, muoio"). (Comunicazione personale del nipote Pancrazio Buciunì a Giovanni Dall'Orto, 5 luglio 2023).
  5. Conversazione con il pronipote Dario Mastellone il 28 marzo 2023 e con il nipote Pancrazio Buciunì il 28 aprile 2023.
  6. Comunicazione di Pancrazio Buciunì jr, cit.
  7. Auguste Boisard, Taormina la divine, "Le Monde illustré", 4 juillet 1903, p. 133, descrive una conversazione con Buciunì, che gestisce direttamente l'attività del negozio, aiutandosi anche con l'italiano. Lo si veda citato, infra. Boisard afferma inoltre di avere comprato una foto di Buciunì nudo, che Pancrazio provvide a firmare.
  8. Nessuna delle speculazioni sul rapporto fra Buciunì e Gloeden s'è mai spinta a trattarne come d'un partner convivente; al contrario tutte danno per scontato che si trattasse piuttosto del suo "maggiordomo" o "factotum". Sull'atto di matrimonio Pancrazio è registrato in effetti come "cameriere". Il nipote Pancrazio Buciunì ricorda che "il nonno sulle cose morali era molto rigido", e in una lettera inedita conservata presso l'archivio gay di Zurigo, un viaggiatore che aveva acquistato un blocco di fotografie di Gloeden racconta che Buciunì gli aveva detto che i suoi rapporti con Gloeden erano stati dettati esclusivamente dal bisogno economico.
  9. La primogenita Rosa, detta "Rosina" (28 giugno 1904-1984), che come secondo nome portava quello della sorella di Gloeden, Sofia, fu protagonista di una serie di bei ritratti di Gloeden, dettagli questi che indicano un rapporto quasi di "familiarità".
  10. Zinaida Gippius (1869-1945), Una serata presso il barone G. (1899), "Babilonia", febbraio 1999, pp. 62-63.
  11. Auguste Boisard, Taormina la divine, "Le Monde illustré", 4 juillet 1903, p. 133.
  12. Charles Leslie, Wilhelm von Gloeden, photographer. A brief introduction to his life and work, Soho, New York 1977, p. 98.
  13. Roger Peyrefitte, Eccentrici amori [1949], Longanesi, Milano 1967, pp. 159-160; Pietro Nicolosi, I baroni d Taormina, Flaccovio, Palermo 1959, pp. 43-45.
  14. Report on the Progress and Condition of the United States National Museum 1925-06-30, Government Printing Press, Washington 1925, pp. 104 e 175. Online sull'Internet Archive.
  15. Il bollettino turistico taorminese "La Rondine" dedica nel maggio 1928 un pezzo a Gloeden, descritto però fondamentalmente come un glorioso sopravvissuto di tempi ormai andati, mentre il 2 agosto 1928 la giornalista austriaca Else Duhm pubblica un articolo in cui descrive un incontro con Gloeden, evidentemente rientrato in possesso della sua casa, ancora felice di convitare i suoi ospiti, ma ormai limitato a ristampare le foto del passato, e costretto per integrare il bilancio a produrre anche profumo di fiori di mandarino! (Cfr. Else Duhm, Taormina: Landschaft un Menschen, “Die Bühne”, V 1928, n. 195, 2 August 1928, pp. 12-14, a p. 23. Online su "Anno"). La festosa riapertura per la "stagione" 1929 della casa di Gloeden, gestita dalla sorellastra, è infine descritta nell'articolo non firmato: Americans in Taormina guests of artistic Baron W. Gloeden, "International herald tribune (Paris)", March 19 1929, p. 7.
  16. Tale dettaglio risulta nell'atto di vendita dell'archivio di Gloeden sottoscritto da Vincenzo Buciunì (1912-1997, figlio di Pancrazio) e Lucio Amelio in data 5/5/1977. In esso Vincenzo menziona la "costante e fedele collaborazione nell'attività di fotografo" del padre Pancrazio, "alla quale anche mio fratello Santo ed io stesso materialmente partecipammo negli ultimi anni di vita del barone von Gloeden". La dichiarazione, inedita, è conservata presso l'archivio della Fondazione Alinari di Firenze, fra le carte già appartenute a Wilhelm von Gloeden e Lucio Amelio.
  17. Si veda il malinconico resoconto di un Gloeden diventato "povero", per lo meno rispetto all'agiatezza del periodo precedente, negli ultimi anni di vita, fatta nel 1929 da Antonio Aniante (pseud. di Antonio Rapisarda), Venere ciprigna. Novelle, Roma, S. A. "Edizioni Tiber", 1929, pp. 23-29.
  18. Michele Falzone Barbarò, Marina Miraglia e Italo Mussa (curr.), Le fotografie di von Gloeden, Longanesi, Milano 1980, p. 26.
  19. Michele Falzone Barbarò, Marina Miraglia e Italo Mussa (curr.), Le fotografie di von Gloeden, Longanesi, Milano 1980, p. 26. L'originale è conservato prezzo la Fondazione Alinari di Firenze.
  20. Il nipote Pancrazio Buciunì conserva ancora una foto del negozio, qui pubblicata. La nipote Maria e la pronipote Ada hanno sottolineato come Pancrazio tenesse lontano le donne e i bambini dal negozio, trattandone come una faccenda "tra uomini". Testimonianze rese a Giovanni Dall'Orto il 26 e 28 aprile 2023.
  21. Così Michele Falzone Barbarò, Marina Miraglia e Italo Mussa (curr.), Le fotografie di von Gloeden, Longanesi, Milano 1980, p. 26.
  22. Citazione dal memoriale fatto stilare da Buciunì nel 1939, online qui. Cfr. Michele Falzone Barbarò, Marina Miraglia ed Italo Mussa (a cura di), Le fotografie di von Gloeden, Longanesi, Milano 1980, p. 26.
  23. Michele Falzone Barbarò, Marina Miraglia ed Italo Mussa (a cura di), Le fotografie di von Gloeden, Longanesi, Milano 1980, p. 26.
  24. Michele Falzone Barbarò, Marina Miraglia ed Italo Mussa (a cura di), Le fotografie di von Gloeden, Longanesi, Milano 1980, p. 26.
  25. Esiste un quaderno delle commissioni (che sembra datare agli anni Venti e che fu probabilmente usato anche da Gloeden, in quanto contiene anche ritagli in tedesco), oggi conservato presso la Fondazione Alinari di Firenze. In base alle poche annotazioni rimastevi, lo sviluppo e la stampa delle foto dei clienti sembra ormai prevalente rispetto alla vendita di stampe di produzione di Gloeden, già in quel periodo.
  26. "Ho eseguito tutti questi lavori da solo, talvolta con notevoli difficoltà, dovendo trasportare il pesante apparecchio all'interno di crepacci e in altri luoghi difficilmente accessibili. Da: "Photographische Rundschau. Zeitschrift für Freunde der Photographie". Herausgegeben und geleitet von Dr. R. Neuhauss, Berlin... Halle an der Saale, Wilhelm Knapp, XIII 1899, (2-3) sezione: Vereinsnachrichten. Testo e traduzione online qui. Anche altri hanno propagato questa immagine di uomo semplice, a malapena in grado di esprimersi in italiano, come ha fatto per esempio Lorenzo Triolo, Il barone e il cameriere (Luoghi interiori, Città di Castello 2020).
  27. Nino Malambrì (figlio di Giovanni) negava (comunicazione personale a Giovanni Dall'Orto, novembre 2014) che Buciunì fosse in grado di stampare fotografie da solo, tant'è vero che nel dopoguerra affidò questo compito prima a Gaetano D'Agata, e dopo la sua morte nel 1949 a suo padre, Giovanni Malambrì. Tuttavia, nel 1949 Buciunì non possedeva più un negozio (in particolare non disponeva d'un ingranditore), a causa del processo che aveva preso di mira specificamente lui. Inoltre nel 1945 aveva ormai 66 anni, e non necessariamente la voglia di ricominciare tutto da zero, il che spiega di per sé la decisione di appoggiarsi ai colleghi più giovani.
  28. Pancrazio Buciunì, Memoria di difesa contro il sequestro delle foto di Wilhelm von Gloeden (settembre 1939), "La Gaya scienza".
  29. Per certi aspetti richiamano alla mente le immagini, altrettanto "crude", del contemporaneo Gaetano D'Agata, anch'egli allievo di Gloeden
  30. . Questo passaggio di consegne, di cui per ora si ignora l'anno, è testimoniato dall'apparizione sul retro delle fotografie di un timbro "Pancrazio Buciunì Moro * W. von Gloeden - Fotografia artistica - Taormina".
  31. Marina Miraglia e Italo Mussa (curr.), Le fotografie di von Gloeden, Longanesi, Milano 1996, pp. 49-50.
  32. Pancrazio Buciunì, Memoria di difesa contro il sequesto delle foto di Wilhelm von Gloeden, (settembre 1939), in: Marina Miraglia e Italo Mussa (curr.), Le fotografie di von Gloeden, Longanesi, Milano 1996, p. 48.
  33. Ibidem.
  34. Anche questa notizia viene dalla testimonianza dei discendenti.
  35. Tribunale di Messina, Sentenza di assoluzione per Pancrazio Buciunì (30/5/1941), "La Gaya scienza", già in: Marina Miraglia e Italo Mussa (curr.), Le fotografie di von Gloeden, Longanesi, Milano 1996, pp. 53-54.
  36. Era nata il 3 ottobre 1907. Secondo i discendenti di Pancrazio, era andata a Catania a fare acquisti e non tornò più a casa, né fu mai più trovato il suo corpo. Il 12/12/1963 ne fu dichiarata la morte presunta al 31/12/1945, come registrato all'Anagrafe di Taormina.
  37. Il figlio Pancrazio Buciunì jr nel 2023 conservava ancora una cartolina di guerra dal nonno al padre.
  38. Uno dei nipoti, Salvatore, dovette emigrare in Svezia. Il fondo Amelio presso la fondazione Alinari ne conserva una lettera al nonno.
  39. Roger Peyrefitte, Eccentrici amori [1949], Longanesi, Milano 1967, p. 181.
  40. Una manciata di lettere d'affari, che discutono esclusivamente di questioni tecniche come il tipo di carta, il prezzo e la modalità d'invio, o la modalità di pagamento, è rimasta fra le carte vendute dagli eredi Buciunì a Lucio Amelio, e poi dai suoi eredi alla Fondazione Alinari di Firenze, dove si trovano oggi. Una di queste lettere afferma apertamente di averlo contattato dopo aver letto il romanzo di Peyrefitte e aver visto alcune foto nella collezione di quest'ultimo.
  41. Esistono numerose foto di Gloeden col timbro di D'Agata. L'ipotesi più ovvia è che D'Agata avesse rifotografato dai positivi una serie d'immagini, nel periodo in cui i negativi erano ancora sotto sequestro, e traesse le ristampe dai negativi propri. Lo induce a pensarlo il fatto che le ristampe acquistate per "Der Kreis" nel 1950 direttamente da Buciunì, furono poi accreditate nella pubblicazione come "Fotografia d'arte G. d'Agata, Taormina-Corso Umberto", rivelando così che riportavano tale timbro, e non più quello di Buciunì. Il fatto che fossero state comprate direttamente dal Moro esclude che il fenomeno si possa spiegare con un atto di "pirateria" da parte di D'Agata.
  42. Orio Vergani, Taormina, l'antica bellezza senza un moderno cantore, "L'illustrazione italiana", febbraio 1952.
  43. Comunicazione personale di Rolf Thalmann dell'Archivio, che ringrazio per l'assistenza fornitami. In base alla regola del "periodo di grazia" non è consentito citare il testo di queste lettere fino al 2029.
  44. Informazione pubblicata dal sito "Schwulengeschichte.ch".
  45. Secondo il sito "Schwulengeschichte.ch", nei numeri 4/​1955 (due giovani nudi seduti di spalle), 12/​1955 (un giovane nudo seduto di lato e alcuni ritratti), 4/​1950, 2/​1953, 3 /​1954, 4/​1955 e 12/​1955.
  46. La notizia è contenuta in: Ekkehard Hieronimus, Wilhelm von Gloeden. Photographie als Beschwörung, Rimbaud presse, Aachen 1982, p. 58, nota 16a. Hieronimus parla anche della vendita di un migliaio di lastre, tuttavia ricerche svolte presso l'attuale archivio Roger Viollet non ne hanno trovato traccia.
  47. Notizie riferite da: Wandell Pomeroy, Dr Kinsey & the Institute for sex research, Harper & Row, NY 1972, pp. 427-428. Secondo Marcus Bunyan, che ha esaminato le foto di Gloeden nella collezione Kinsey, l'attuale fondo Gloeden presso l'Istituto conta solo un centinaio d'immagini.
  48. Francesco Rosso, I giovani leoni di Taormina, "La Stampa", 1 luglio 1959, numero 155, pagina 3.
  49. Comunicazione personale del discendente Dario Mastellone. Secondo Pancrazio Buciunì jr si trattaò invece d'una tegola.
  50. Il contratto di vendita, nel quale Vittorio si autodefinisce "unico erede", è conservato presso la collezione Alinari.
  51. Cfr.: Monica Maffioli, "L'archivio von Gloeden conservato nelle raccolte museali Fratelli Alinari", in: Italo Zannier (cur.), Wilhelm von Gloeden. Fotografie, Alinari-24 ore, Firenze 2008, pp. 173-177.
  52. Si veda la pagina web https://www.regione.toscana.it/-/faf-toscana
  53. Lorenzo Triolo, Il barone e il cameriere, Luoghi interiori, Città di Castello 2020.

Bibliografia[modifica]

Link esterni[modifica]

  • Matt & Andrejkoymasky, Pancrazio Buciunì, "Andrejkoymasky.com" (In inglese). Basata fondamentalmente sulla versione fornita da Peyrefitte, pertanto contiene qualche errore fattuale).
  • Giovanni Dall'Orto, Inseguendo von Gloeden, "La gaya scienza", § "Pancrazio Buciunì, soprannominato 'u Moru (1879-1963)".

Voci correlate[modifica]