Nino Cesarini

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Voce scritta da Giovanni Dall'Orto, liberamente modificabile.
Nino Cesarini nel ritratto di Paul Hoecker.

Antonio Cesarini, meglio conosciuto con il diminutivo di Nino Cesarini (Roma, 29 settembre 1889 - Roma, 25 ottobre 1943), fu il compagno del barone Jacques d'Adelswärd-Fersen, che ne celebrò la bellezza nelle sue poesie e nei suoi romanzi, e ne commissionò ritratti ad artisti dell'epoca.
Assieme a Fersen è il protagonista del romanzo L'esule di Capri di Roger Peyrefitte, circostanza che ha soffuso la sua figura d'un alone sia romanzesco che romantico.

Biografia[modifica]

Non è chiaro come avvenne l'incontro fra Fersen e il quindicenne Cesarini. Peyrefitte (che ebbe accesso alle testimonianze di persone che li avevano conosciuti entrambi, ma che essendo un narratore tendeva anche a "romanzare" i dettagli), afferma che Fersen lo aveva notato mentre lavorava come manovale, per strada.
Tuttavia il fatto che Fersen gli scrivesse dediche in francese e che Cesarini abbia gestito nella seconda parte della sua vita l'edicola di famiglia, induce a pensare che pur essendo di origini modeste al confronto di Fersen, non fosse comunque il rozzo popolano semi-analfabeta descritto dalla leggenda. Dopo tutto, il chiosco di giornali si trovava nella centralissima e prestigiosa via Veneto (À la jeunesse d'amour, p. 87, nota 10), il che lascia pensare che Nino appartenesse più alla piccola borghesia urbana che alle classi popolari. Il che non esclude che possa aver fatto qualche lavoretto per "arrotondare": del resto la facilità con cui la famiglia concesse a Fersen di prenderlo come "segretario" e portarlo via con sé indica che vedeva con favore il fatto che il ragazzo trovasse un impiego, anche a costo di chiudere un occhio sulla fama del nobiluomo francese, che non era propriamente immacolata.
Will Ogninc, per far quadrare leggenda e fatti, è costretto a definire incongruamente Nino (p. 23) un "construction worker selling newspapers" ("un muratore che vendeva giornali").

Ad ogni modo è nota la data in cui i due si conobbero: il 1904, come rivela l'incisione interna del portasigarette che Fersen regalò a Nino per il loro anniversario nel 1910 (foto in À la jeunesse d'amour, p. 160) con una dedica che contiene un gioco di parole francese tra "Il mio male m'incanta" e "Il mio maschio m'incanta".

Ritratti di Nino Cesarini[modifica]

File:Plüschow, Wilhelm von (1852-1930) - n. 5107 (dettaglio) - Et in Arcadia ego, p. 18.jpg
La statua di Jerace (oggi scomparsa) fotografata verso il 1906.

Conosciamo il volto di Nino Cesarini attraverso il ritratto che ne fece Paul Hoecker, del 1907 circa, recentemente riemerso, e che appare anche nella foto di un interno di Villa Lysis scattata probabilmente da Pluschow.
Sappiamo inoltre che Cesarini posò anche per un ritratto di nudo a cavallo, dipinto da Umberto Brunelleschi (1879-1949), e nel 1906 circa per una statua nuda in bronzo fusa dallo scultore napoletano Francesco Jerace (1854-1937) che fu collocata sul belvedere esterno (è ovviamente priva di fondamento l'attribuzione della statua a Vincenzo Gemito). Tutte queste opere furono vendute dagli eredi alla morte di Fersen e fino ad ora è riapparso unicamente il ritratto di Hocker.
Infine Vincenzo Gemito nel 1920 creò un ritratto di profilo di Nino a pastello, che Giovanbattista Brambilla ha ritrovato presso gli eredi di Cesarini, pubblicandolo nel 2003 sulla retrocopertina della riedizione dell'Esule di Capri de "La Conchiglia" (il ritratto appare in bianco e nero anche nel citato À la jeunesse..., p. 107, con data errata 1914).
Assieme alla foto sulla tomba di Cesarini, rintracciata anch'essa da Brambilla, e a due fotografie già edite prima dell'esplosione dei "riconoscimenti" pluschowiani, queste due sono le uniche immagini la cui identità sia certa, e vanno quindi usate come pietra di paragone per tutte le altre decine di presunti "ritratti" che spesso hanno più a che fare con fantasie dell'immaginazione che con la storia.

Compagni di vita[modifica]

Il ruolo di Cesarini accanto a Fersen non fu quello di "servitore-amante" (per i lavori di casa c'erano semmai i due servitori "importati" dallo Sri Lanka) quanto quello di segretario e compagno di viaggi e di vita. Nino accompagnava Fersen all'Opera (gli eredi conservano il suo binocolo da teatro) e nei suoi viaggi in giro per il mondo, come testimoniano i souvenirs che ha lasciato fra le sue cose, tra i quali figura anche una fiaschetta che riporta la scritta: "Nino / Hanoi / Feb 20 / 1914" (la foto dell'oggetto è in À la jeunesse, cit., p. 160).

La relazione con Fersen si concluse di fatto nel 1915, quando Nino fu mobilitato e mandato al fronte (dove fu ferito, al punto che dovette passare un periodo in ospedale a Milano per riprendersi), mentre Fersen fu riformato in quanto tossicomane e trascorse il periodo bellico in Francia.

Al ritorno di Nino a Capri, nel 1919, la relazione s'era ormai trasformata in semplice amicizia, tanto che Fersen nel 1920 trovò un nuovo giovanissimo amante, ancora una volta quindicenne, Corrado Annicelli (1905-1984), che da adulto sarebbe diventato un attore di successo.

Nino continuò comunque a vivere a Capri con Fersen, ed era presente assieme ad Annicelli al momento del suicidio / incidente.

Dopo la morte di Fersen[modifica]

Fersen morì a Capri il 5 novembre del 1923 per overdose da cocaina. Non è mai stato chiarito se sia stato un incidente o un suicidio: Fersen si versò nello champagne ben cinque grammi di cocaina, il che per alcuni è la prova del fatto che fu ucciso dal bisogno di assumere dosi sempre più elevate perché facessero effetto, per altri è la prova del fatto che fu un suicido intenzionale.
La famiglia di Fersen insinuò però il sospetto che Cesarini lo avesse avvelenato. Il movente sarebbe stato l'eredità, visto che nonostante il grosso della fortuna di Fersen andasse ai famigliari, nel testamento venivano lasciati a Cesarini tutti i liquidi presenti sui conti correnti e in casa, ammontanti a circa 300.000 franchi, oltre all'usufrutto vitalizio della villa di Capri.
L'autopsia, eseguito a Roma, scagionò però Cesarini.

Ciononostante, la gestione della villa si rivelò tutt'altro che facile, sia per la causa legale che la famiglia scatenò immediatamente contro l'"intruso" Cesarini, sia per i notevoli costi che comportava la sua manutenzione, per cui Cesarini finì per concordare con la famiglia di Fersen la rinuncia all'usufrutto in cambio di 200.000 lire e della cessazione della causa contro di lui. Fu in quest'occasione che la famiglia si sbarazzò dei ritratti di Nino, vendendoli a un antiquario.
(Curiosamente, le vicende testamentarie della villa sono state oggetto d'una dettagliata monografia di Fausto Esposito, pubblicata nel 1996).

Cesarini tornò a Roma, dove rilevò l'edicola di famiglia in via Veneto (À la jeunesse, cit., p. 87) ed acquistò anche un bar. Qui rimase per il resto dei suoi giorni.
Morì prematuramente, minato nella salute dall'abuso delle sostanze stupefacenti (oppio e cocaina) a cui era stato indotto da Fersen fin da ragazzo.

Le sue spoglie sono sepolte a Roma, nel cimitero monumentale Campo Verano.

Voci correlate[modifica]

Bibliografia[modifica]

Collegamenti esterni[modifica]