Il sacrificio di Isacco secondo Filippo de Pisis

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Filippo De Pisis, Sacrificio d'Isacco, 1940, olio su tela, 131,5x102, Museo Mario Rimoldi, Cortina d'Ampezzo, Regole d'Ampezzo.

Il Sacrificio di Isacco è un dipinto di di Filippo de Pisis (Ferrara, 1896 - Brugherio, 1956). Si tratta di una tela di considerevoli dimensioni (131,5x102) che raffigura in maniera sorprendente, se non addirittura spiazzante, il noto episodio dell'Antico Testamento in cui Dio chiede ad Abramo una prova della sua fedeltà e sottomissione ordinandogli di sacrificare il figlio Isacco (Genesi 22, 1-18). Il quadro, realizzato a Rimini nel 1940, fa parte della collezione del Museo d'Arte Moderna Mario Rimoldi di Cortina d'Ampezzo.

Il pittore[modifica]

Filippo De Pisis, Brugherio, 1950, fotografia di Federico Patellani.

Filippo de Pisis si dedicò sia alla poesia che alla pittura. Furono però i quadri a renderlo famoso. E la sua opera pittorica ebbe presto molti estimatori in Italia e in Francia, dove visse a lungo. Sviluppò un modo di dipingere peculiare, una specifica maniera che caratterizza e rende facilmente riconoscibile la sua produzione. Ebbe una particolare predilezione per i generi della natura morta e del paesaggio. Non fece alcun mistero della sua omosessualità, e un altro tema ricorrente nei suoi dipinti sono i ritratti dei giovani modelli che incontrava casualmente e invitava a posare a casa propria. Visse a Roma (1919-1924), si trasferì poi a Parigi, dove fissò la propria residenza fino al 1939. Al rientro in Italia si spostò spesso da una città all'altra, inizialmente scelse di vivere Milano, ma poi, anche a causa dei bombardamenti, si spostò a Venezia, dove acquistò una casa. Luoghi in cui tornò spesso, anche se per brevi periodi, furono Rimini, Cortina d'Ampezzo e le località circostanti.[1]

Il committente[modifica]

Per tale opera non esiste un vero e proprio committente. Nessuno che abbia avanzato una specifica richiesta o definito preliminarmente un compenso. Ma se attribuiamo al concetto di committente il significato più generico di incoraggiatore o esortatore, allora si può sostenere che un committente c'è a tutti gli effetti e si tratta dello scrittore Giovanni Comisso (Treviso, 1895-1969), intimo amico di De Pisis per gran parte della sua vita. Giovanni Comisso raccontò la loro amicizia nel volume intitolato: Mio sodalizio con De Pisis, edito per la prima volta da Garzanti nel 1954. In tale schietto reportage della vita dell'amico, Comisso scrive:

« Gli andavo ripetendo da tempo che oramai con la sua padronanza pittorica non doveva più insistere a fare i soliti quadri di fiori, i soliti paesaggi, le solite nature morte, aveva già dato prova di sapere affrontare con nuovissimo estro il ritratto, doveva ora imporsi la composizione con figure intere. Parve non accogliere il mio consiglio, ma ancora da Rimini mi scrisse (14 agosto 1940): Vivo in un delizioso alberghetto (albergo di Montefeltro) e un camerone trasformato in studio molto suggestivo dove faccio disegni in quantità e un gran quadro, Il sacrificio di Abramo. Non verrai a vedermi? Penso con piacere alla bellissima Chioggia. Godi e lavora. Poi mi raccontò la fatica sopportata per fare stare seri i due ragazzi che gli posavano, uno inginocchiato per terra e l'altro, con una barba finta, sopra, impugnando il coltello. Poco dopo fece un'altra grande composizione Oreste e Pilade e si affrettò a mandarmi fotografia.[...] Invano attese la mia venuta a Rimini, io ero travolto altrove. Mi scrisse: Primo giorno di ottobre grigio e magnetico.In questi giorni ho avuto la vaga speranza di vederti arrivare improvviso e leggero, ma so che è difficile viaggiare in automobile ora. Ho vissuto intensamente, spesso con gioia in questi giorni riminesi e ho molto lavorato, in una camera a pianterreno di un vecchio palazzetto che ti sarebbe piaciuto. Modelli splendidi in quantità.[2] »

E anche:

« [...] Da quando aveva lasciato Parigi le sue lettere erano mutate. [...] Certo anche per le sue lettere, come per la sua pittura, era finito un periodo e ne cominciava un altro. Nell'estate mi decisi di raggiungerlo a Rimini. [...] De Pisis mi abbracciò con gioia, volle subito si andasse allo studio a prendere il tè. Era in un magazzino e come nei suoi studi del tempo passato con poche cose di suo gusto aveva saputo renderlo strano e attraente.[...] Un giorno in questo studio servì un tè a signori della provincia suoi ammiratori con una disinvoltura straordinaria mentre nessuno sapeva dove petere stare seduto, ma egli con il suo parlare continuo li teneva in estasi. Conobbi anche Giacomino, il figlio della padrona di casa, che gli aveva posato per il Sacrificio d'Abramo.[3] »

Inoltre, nella biografia che Nico Naldini dedica a de Pisis, si legge:

« Pippo decide di andare al mare e a metà luglio è a Rimini con la sorpresa di ritrovarsi in una "Cannes d'Italie": gran lusso, luna park, rèclames luminose, radio, fiori e amori [...]. Il 2 agosto scrive a Raimondi: Questa vita semibalneare mi rende più pigro del solito. [...] Attacco domani il Sacrificio d'Abramo. Ho trovato un modellino splendido per Isacco, ma cerco il padre, crudele "snaturato" (pronuncia in napoletano!)[4] »

Il contesto[modifica]

Questo quadro appartiene ad un nuovo periodo, quello del ritorno definitivo in Italia. Anche se de Pisis non si cura della situazione politica internazionale, sono proprio i tragici eventi del 1939 che lo costringono a lasciare Parigi, la città in cui ha vissuto per quasi un quindicennio. Ecco che cosa scrive Nico Naldini a proposito:

« Anche se le voci dello scoppio imminente della guerra si fanno più insistenti, Pippo non ha ancora preso nessuna decisione e vive come dentro a una nube serena. Non legge i giornali e non dà peso ai discorsi allarmistici. I fatti del giorno viene a conoscerli con una settimana di ritardo, mostrando sempre grandi meraviglie, ma per dimenticarli subito dopo. [...] Pippo dal canto suo è convinto che non scoppierà nessuna guerra; perché egli conosce bene i francesi e sa quanta poca voglia hanno di combattere. Smentito di lì a poco, alla fine di agosto è costretto a fare un precipitoso rientro in Italia. [...] La fuga dalla Francia e da tutto quello che per quindici anni ha costituito la sua vita e la sua arte, avviene senza drammi; anzi, con grande spirito di adattamento, ritornando "quasi celebre", Pippo è pronto a ricominciare da capo come un allegro apprendista. [...] La prima tappa in Italia è Milano, ma subito riparte per Cortina dove è stato invitato dall'albergatore collezionista Mario Rimoldi. Per un accordo con il suo ospite ogni quadro dipinto durante questo soggiorno resterà nelle sue mani in cambio di vitto e alloggio.[5] »

Fu un periodo di grande irrequietezza, già tipica degli anni parigini, ma che pare accentuarsi una volta rimpatriato:

« Dopo pochi giorni e senza nessun preavviso [...] Pippo scompare da Vicenza. Sulla porta della baracchetta che è servita da studio, un avviso tracciato col gesso informa che il maestro si è trasferito a Milano all'Albergo Vittoria in via Durini. [...] In questo albergo della sua "cattività milanese" Pippo occupa la stanza n. 69 [...]. Stesa sul pavimento in un angolo della stanza c'è la vecchia pelle di leopardo sulla quale fa stendere i suoi nuovi modelli: giovani atleti in rosa celeste e bianco, che Pippo riesce a scovare nelle palestre delle periferie con fiuto infallibile. Il suo campionario pittorico infatti continua a passare inalterato attraverso le tempeste della vita con fiori ragazzi e farfalle, essenze di vita molto simili fra loro. Le braccia e le gambe degli atleti spesso acefali non sono come i rami dei fiori o come la seta delle ali delle farfalle, di una identica bellezza fragile ed effimera?[6] »

La maniera di Filippo de Pisis non cambia dunque dopo il ritorno in Italia. Come scrive Naldini, egli continua imperterrito a dipingere fiori ragazzi e farfalle anche negli anni Quaranta. Mentre l'esortazione di Comisso ad andare oltre e a dedicarsi alla composizione con figure intere cade sostanzialmente nel vuoto.
Ho sfogliato il catalogo - in due tomi - dell'opera di de Pisis e in effetti ho appurato che le composizioni con figure intere sono davvero poche in rapporto alla grande quantità di vasi di fiori, nature morte, paesaggi, ritratti a mezzo busto. E anche tante figure intere ma isolate: quasi sempre tanti giovani uomini, raffigurati in piedi, seduti, sdraiati, ma sempre uno alla volta, appunto isolati, nello spazio circostante.[7] Nell'intero catalogo le uniche composizioni di figure sono: un altro Sacrificio di Isacco (1941, olio su tela, 75x60). Un cartone del 1927 intitolato L'eremita e il pastore. E infine - se ho ben contato - sette dipinti con Lottatori o Pugilatori ripresi mentre combattono (opere realizzate tra il 1935 e il 1942).
Certo il catalogo generale non censisce davvero tutta l'intera produzione dell'artista, ma di sicuro ne è soddisfacente rappresentazione, anche dal punto di vista quantitativo. Si può quindi concludere che il Sacrificio di Isacco spicca sul resto della produzione come maggiore rappresentante di un filone tematico che de Pisis sfiorò appena, presto però abbandonandolo per tornare al suo consueto campionario pittorico.

Il quadro[modifica]

Il sacrifico di Isacco, mosaico, XII secolo, Cappella Palatina, Palermo

Tenendo conto dei brani sopra riportati, pur con cautela, si può sostenere che l'opera venne realizzata a Rimini nella prima metà del mese di agosto del 1940. Il 2 agosto scrive infatti a Giuseppe Raimondi (Bologna, 1898-1985) che un modello l'ha trovato ma gli manca il secondo, mentre il 14 agosto comunica a Comisso che ha dipinto il quadro, molto probabilmente portandolo a termine, come di consueto, in breve tempo.[8]
Questo Sacrificio di Isacco è un vero divertimento. Un grande divertimento per l'artista che lo progettò e realizzò, ma anche per tutti colori che lo vogliano osservare con attenzione. La modalità del gioco risulta ancora più chiara se si confronta la versione irriverente di de Pisis con le interpretazioni tradizionali del famoso episodio biblico. Ho scelto come efficace prototipo uno splendido mosaico della Cappella Palatina di Palermo, realizzato nel XII secolo.
Genesi alla mano, i componenti di quella storia, oltre a Dio, Abramo e Isacco, sono: un monte nella terra di Moria, due servi, un asino, il fuoco, la legna, l'altare, il laccio per legare Isacco, il coltello per il sacrificio, l'angelo, il cespuglio e infine il montone impigliato per le corna. Nel mosaico siciliano sono ordinatamente presenti tutti gli elementi sopra elencati, non ne manca uno. Inoltre, Abramo, dato che «aveva cento anni quando gli nacque Isacco» (Gen. 21,5), mostra barba e capelli bianchi ed il suo corpo è accuratamente coperto da tunica e mantello. E pure Isacco, legato, bendato e pronto per il sacrificio, indossa comunque una tunica.
Osserviamo ora la tela di de Pisis. Della lunga lista dei componenti della scena biblica non è rimasto quasi nulla. Innanzi tutto nessuna traccia dell'aspro e desertico paesaggio montuoso; al suo posto si scorge la pianura, si direbbe quella romagnola alle spalle di Rimini. E sul fondo si intravede una casetta: l'Abramo di de Pisis non sembra neppure avere cercato un luogo ben isolato per compiere lo scandaloso omicidio. Certo, il cielo è nero, come per l'arrivo di un improvviso temporale estivo. Ma l'atmosfera è cupa solo per questo aspetto, il resto, non c'è modo di dirlo altrimenti, fa ridere (ridere di cuore). Quindi il monte non c'è, ma non ci sono neppure i servi, l'asino e il montone con il suo cespuglio.
C'è Isacco, ovviamente, ma nudo e in ginocchio su una pelle di leopardo (la vecchia pelle di leopardo su cui da sempre de Pisis fa stendere i suo modelli). Va detto però che il giovane denudato per il sacrificio non è una novità iconografica, dal rinascimento in poi gli artisti hanno preferito rappresentarlo completamente nudo (come qui si può riscontrare nell'opera di Andrea Del Sarto), o al massimo con il pube coperto da un drappo più o meno svolazzante (si veda invece l'Isacco del Domenichino).
Ma il centro del quadro e la fonte di ogni sorpresa è Abramo. Come si è già ricordato, Abramo aveva cento anni alla nascita di Isacco, il figlio sopraggiunto in tarda età: Ora Abramo e Sara erano vecchi, avanzati in età e Sara aveva cessato di avere i corsi che sogliono avere le donne. Rise dunque Sara dentro di sé dicendo: Dopo di essere invecchiata mi darò al piacere? E anche il mio signore è vecchio (Gen. 18,11-12).

Filippo De Pisis, Soggetto sacro (figure), 1931, acquarello, 27,9x21, Museo Mario Rimoldi, Cortina d'Ampezzo, Regole d'Ampezzo.
Filippo De Pisis, Lottatori, 1937, olio su tela, 46x38, collezione privata.

Ciò nonostante, l'Abramo di de Pisis è un giovane uomo a torso nudo, dotato di ampio torace e gambe lunghe, capelli neri e barba dello stesso colore! Di segni di vecchiaia nemmeno l'ombra (solo la barba - finta - viene utilizzata per attribuire al giovane modello almeno un segno di età matura). Ma non basta, questo Abramo si è tolto la camicia come farebbe un uomo di fatica, mentre per il resto è ben vestito. Porta un berrettino a righe (da facchino o da marinaio?); sfoggia braghette azzurre con orlo bianco, molto corte e molto attillate; e infine le lunghe gambe muscolose sono completamente coperte da un paio di calze rosse, se possibile, ancora più attillate dei pantaloncini soprastanti. Con tale mise il patriarca Abramo è irriconoscibile, bisogna affidarsi al titolo per l'identificazione.
Si potrebbe - un po' arditamente - sostenere che questo dipinto si comporta come una poesia moderna, in cui, spesso, il titolo funziona da parola-chiave e rende intelligibile il testo sottostante, altrimenti sfuggente o ambiguo. E nel caso di questo dipinto, si badi bene, il titolo scelto dall'autore è: Il sacrificio di Abramo, un titolo che già di suo produce un poco di scompiglio, indicando l'agente riguardo all'azione, e non il paziente come nella consuetudine). Un titolo che effettivamente fornisce una pista per la corretta interpretazione. Infatti, se il giovane in ginocchio in primo piano non desta molti dubbi, invece l'aspetto di Abramo è talmente incongruo da produrre incertezza nell'osservatore, che di conseguenza sente il bisogno di essere rassicurato dalla didascalia. A mio parere, in questo quadro geniale non c'è alcuna risonanza di genere religioso o spirituale. Si tratta di invece una rappresentazione di corpi che si incontrano/scontrano in un'atmosfera piena di energia vitale. Credo che ciò valga anche per un'altra opera pure conservata presso il Museo Mario Rimoldi di Cortina d'Ampezzo: un acquarello del 1931 semplicemente intitolato Soggetto sacro (figure), ma che, secondo me, rappresenta la scena del martirio di San Pietro Martire, inquisitore domenicano assassinato nei pressi di Milano nel 1252. Anche in questo caso è la prestanza fisica e la parziale nudità del carnefice ad occupare il primo piano e a incombere sull'altra figura che pare afflosciarsi a terra. Inoltre, se questi dipinti di oggetto sacro comunicano innanzi tutto l'energia che si sprigiona dai corpi in azione, allora, per affinità, vanno accostati alle scene di combattimento fra pugili o lottatori che l'artista ritrasse con frequenza e passione (si veda qui, come esempio, la tela intitolata Lottatori del 1937).

Andrea del Sarto, Sacrificio d'Isacco, 1527-1529, olio su tela, Gemäldegalerie Alte Meister, Dresda.
Domenico Zampieri, il Domenichino, Sacrificio d'Isacco, 1627-1628, olio su tela, Museo Nacionale del Prado, Madrid.

I modelli[modifica]

Presumibilmente non c'è uno specifico prototipo, rinascimentale o barocco, al quale de Pisis si sia rifatto. In ogni caso, la sensualità si era insinuata nella rappresentazione pittorica di questo episodio biblico perlomeno a partire dal XVI secolo. La si percepisce, ad esempio, nella nudità dell'Isacco, come nel dipinto qui a fianco di Andrea Del Sarto. Oppure nell'irrobustimento fisico di Abramo, che gradualmente ringiovanisce e segnala la sua vecchiaia solo attraverso la canizie. Ciò è evidente nel quadro del Domenichino qui proposto, in cui compare appunto un Abramo gagliardo, il quale indossa tra l'altro un paio di braghe attillate che, chissà, potrebbero aver ispirato la splendida calzamaglia rossa dell'Abramo di de Pisis.

Note[modifica]

  1. Nico Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, Einaudi, Torino, 1991.
  2. Giovanni Comisso, Mio sodalizio con De Pisis, testo riveduto e corretto a cura di Nico Naldini, Neri Pozza Editore, Vicenza, 1993, pp. 95-96.
  3. Giovanni Comisso, Mio sodalizio con De Pisis, cit., pp. 101-102.
  4. Nico Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, cit. pp. 212-213.
  5. Nico Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, cit. pp. 207-209.
  6. Nico Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, cit. pp. 211-212.
  7. Giuliano Briganti, Daniela De Angelis, De Pisis. Catalogo generale, Electa, Milano, 1991.
  8. Nico Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, cit. p. 199:
    « Pippo [è] famoso per la velocità con cui finisce i suoi quadri, tanto che un amico napoletano lo ha soprannominato "il nuovo Luca Giordano", il pittore che ai suoi tempi era famoso come "Luca fa presto". »

Bibliografia[modifica]

  • De Pisis. Opere scelte dal Museo d'Arte Moderna e Contemporanea Mario Rimoldi delle Regole d'Ampezzo, catalogo della mostra a cura di Marco Goldin, Brescia, Museo di Santa Giulia, 21 gennaio - 26 marzo 2006, Linea d'Ombra Libri, Conegliano, 2006.
  • Giuliano Briganti, Daniela De Angelis, De Pisis. Catalogo generale, Electa, Milano, 1991.
  • Comisso, G., Mio sodalizio con De Pisis, testo riveduto e corretto a cura di Nico Naldini, Neri Pozza Editore, Vicenza, 1993.
  • Filippo De Pisis. La Figura umana, catalogo della mostra a cura di Luciano Caramel e Claudia Gian Ferrari, Dronero, Museo Mallè, 21 aprile - 8 settembre 2002, Edizioni Marcovaldo, Caraglio (Cuneo), 2002.
  • Filippo De Pisis. Opera grafica dalla collezione Malabotta, catalogo della mostra a cura di Luca Massimo Barbero, Mantova, Casa del Mantegna, 19 maggio - 30 giugno 1996, Il Cardo Editore, Venezia, 1996.
  • Naldini, N., De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, Einaudi, Torino, 1991.

Link[modifica]

Voci correlate[modifica]