Femminiello

Da Wikipink - L'Enciclopedia LGBT+ italiana.
(Reindirizzamento da Femminello)
Jump to navigation Jump to search
Dina Alma de Paradeda.

Il "femminiello" (femmenello, femmenella) è una figura omosessuale tipica della cultura tradizionale popolare napoletana, di aspetto marcatamente effeminato se non proprio travestito.

Il personaggio[modifica]

La figura del "femminiello" esiste da molto tempo nel panorama omosessuale campano: già nel 1586 Giovanni Battista Della Porta (1538?-1615) dichiarò che:

« Nell'isola di Sicilia son molti effeminati, et io ne viddi uno in Napoli di pochi peli in barba o quasi niuno; di piccola bocca, di ciglia delicate e dritte, di occhio vergognoso, come donna; la voce debile e sottile non poteva soffrir molta fatica; di collo non fermo, di color bianco, che si mordeva le labra; et insomma con corpo e gesti di femina. Volentieri stava in casa e sempre con una faldiglia [crinolina, NdR], come donna attendeva alla cucina et alla conocchia [a filare]; fuggiva gli omini, e conversava con le femine volentieri, e giacendo con loro, era più femina che l'istesse femine; ragionava come femina, e si dava l'articolo femineo sempre [parlava sempre di sé al femminile, NdR]: "trista me, amara me"; et il peggio era, che peggior d'una femina sopportava la nefanda Venere [la sodomia][1]»

All'interno della cultura campana il femminiello riesce a godere di una posizione relativamente privilegiata grazie alla sua partecipazione ad alcune manifestazioni folkloristiche (a volte anche di ambito religioso come la "Candelora" al Santuario di Montevergine (AV) oppure la "Tammurriata" alla festa della Madonna dell'Arco a Sant'Anastasia (NA)).

Il femminiello è una figura che fa parte del tessuto sociale dei quartieri popolari del centro storico di Napoli, dove è una persona rispettata. Occasionalmente può venire canzonato in modo benevolo o affettuoso da persona conosciuta del quartiere, alla quale egli però sa rispondere prontamente e a tono con una battuta salace.

Generalmente il femminiello viene considerato persona che porta fortuna. Per questa ragione è invalso l'uso (sempre nei quartieri popolari) di mettergli in braccio il bimbo appena nato e scattargli la foto; oppure farlo partecipare a giochi di società quali la tombola.

La tombolata[modifica]

File:1917 - Illustrazione da - Abele De Blasio, Superstiti di andropornii americani.jpg
Prostituto napoletano (B<oc>. Al<fredo>, detto "Belfiore") in costume femminile. 1917

Nei quartieri popolari di Napoli c'è la tradizione che ad alcune tombolate possano partecipare esclusivamente donne e/o femminielli. Il gioco avviene in un "basso", e possono assistervi uomini solo se essi restano rigorosamente alla porta o a guardare dalla finestra, senza accedere in alcun modo nella stanza dove si svolge la tombola.

Il gioco procede in modo rumoroso, sboccato, canzonatorio. Generalmente è il femminiello che tira a sorte i numeri proclamandoli ad alta voce. Il numero sorteggiato può anche non essere annunciato in modo palese; infatti, basandosi sulla "smorfia napoletana", al posto del numero egli può semplicemente dire il suo significato più diffuso e risaputo, che i presenti immancabilmente conoscono ed intendono.
Il divertimento della tombolata con i femminielli è dato proprio dalla "smorfia": infatti, man mano che i numeri escono, il femminiello concatena in una sequenza logica e cronologica i relativi significati, creando una storia che si forma dalla casualità del sorteggio: è un "evento" che il femminiello ricorda man mano che esso si sviluppa e che viene commentato rumorosamente con divertimento o con finto scalpore dagli stessi femminielli, e soprattutto dalle donne presenti al gioco.

Da questa tradizione Roberto De Simone ha tratto una scena della sua celebre opera La gatta Cenerentola in cui un gruppo di femminielli recita il rosario, commentandolo allo stesso modo con battute salaci, in napoletano strettissimo.

Il matrimonio[modifica]

Questa sezione è ancora vuota. Aiutaci a scriverla!
File:Penta - Ritratto di N.M., 1898.jpg
Feminiello napoletano, N. M. 1898.

Il rito della "figliata"[modifica]

Questa sezione è ancora vuota. Aiutaci a scriverla!

Il rito è così descritto nel 1900 da Abele De Blasio:

« Se per 9 mesi il pederasta passivo non si disturba con l'attivo, si mette in campo 'a figliata, alla quale cerimonia prendono parte parecchi spettatori.

'O femmenella, in questo caso, per alquanti giorni si mostra ai suoi simili coll'addome gonfio. È una specie di trucco che si fa a quella parte del tronco con una quantità di cenci per simulare la gravidanza; poi si manda in cerca della levatrice, che è un altro vasetto vestito da donna.
La primipara si mette a letto e comincia a gridare: mentiscono [simulano] quelle grida i dolori del parto, e continuano fino a tanto che la levatrice non tira da sotto le coltri il... neonato, che consiste in un bamboccio di pezze, al quale si dà financo [perfino] un... nome, dopo avere constatato il sesso.
Ogni figliata finisce con una sbornia.[2] »

Oggi[modifica]

Ciro Cascina recita il ruolo della mamma del femminiello durante le Giornate dell'orgoglio omosessuale (1980), a Bologna.

La figura del femminiello era strettamente legata alla realtà antropologica dei vicoli napoletani e al loro fortissimo senso di comunità. Con il cambiamento urbanistico e sociale degli ultimi decenni, inevitabilmente, anche la tradizione dei "femminielli" sta cambiando. Secondo Achille della Ragione,

« "I vicoli dei quartieri spagnoli, dopo il sisma del 1980, sono stati progressivamente occupati da extracomunitari, dalla cultura lontanissima dalla nostra, per cui è scomparso quell'ambiente familiare del vicolo, con la sua economia ed i suoi rapporti interpersonali molto stretti, quasi maniacali. (...) Scomparso il proprio territorio protetto i femminielli si trovano oggi alla deriva, senza bussola e senza consenso sociale. Devono combattere con i viados brasiliani, importati massicciamente dalla malavita, portatori di una sottocultura diversa, legata unicamente al moloch dei nostri giorni infelici: il denaro. (...) In ogni caso i femminielli di domani saranno diversi da quella specie". »

Achille della Ragione, come molti napoletani quando parlano della loro città, ha però una visione nostalgica e romanticizzata del passato (si noti l'allusione ai "nostri giorni infelici"), dimenticando troppo facilmente che uno dei puntelli che sorreggevano il fenomeno dei femminielli era quello dell'emarginazione e dell'ignoranza (sino al frequente analfabetismo).
E' infatti vero che la cultura tradizionale napoletana offriva all'omosessuale (per lo meno a quello effeminato e "passivo") un ruolo socialmente accettato e un'identità visibile e socialmente riconosciuta, caso positivo e raro in Occidente. Tuttavia è anche vero che la sola professione aperta a tale ruolo era, di fatto, la prostituzione, spesso nelle mani d'uno sfruttatore, sempre esposta alle estorsioni della malavita organizzata, che non nascondeva il proprio disprezzo per i "ricchioni".
Inoltre se il ruolo del femminiello serviva a offrire un spazio sociale a una parte (minoritaria) della realtà omosessuale, serviva al tempo stesso come monito per il resto di essa, costituendo un esempio dell'"inevitabile" degrado che attendeva chi avesse fatto una scelta di vita omosessuale, al di fuori del ruolo maschile e del matrimonio eterosessuale.
Non sorprendentemente, quindi, se la figura del "femminiello" è ancora tenuta pienamente in vita da persone di mezza età, e se il termine è d'uso corrente a Napoli anche all'interno della stessa comunità gay, nelle generazioni più giovani si assiste oggi al doppio fenomeno dell'inculturamento, per il quale alcuni di coloro che in passato si sarebbero definiti femminielli si definiscono semmai "trans", e della socializzazione, per il quale il resto di loro oggi tende a confondersi nella sottocultura omosessuale, la quale da parte sua ha assorbito e accolto (non senza screzi) la parte meno arcaica della sottocultura dei femminielli.
La trattazione di questa figura umana da parte di molti artisti, da Giuseppe Patroni Griffi a Roberto de Simone ad Annibale Rucciello, ha quindi spesso il sapore d'una rivisitazione nostalgica, idealizzata, che romanticizza perfino il suicidio come una sorta di atto romantico "tipico" di tali persone, laddove invece ovviamente era il segno d'una profonda emarginazione e infelicità, a cui non tutti avevano la forza di reagire. Fa eccezione la rivisitazione dell'attore Ciro Cascina, che nel suo celebre La madonna di Pompei ha rivendicato in chiave esplicitamente "gay" la figura del "femminiello", facendone un tutt'uno con la figura del gay orgoglioso di sé.

Note[modifica]

  1. Giovan Battista Della Porta, Della fisionomia dell'uomo, Longanesi, Milano 1971, p. 813.
  2. Abele De Blasio, Nel paese della camorra. L'imbrecciata, A spese dell'autore, Stamperia del Delfino, Napoli 1900, pp. 78-79.

Voci correlate[modifica]

Bibliografia[modifica]

Collegamenti esterni[modifica]

Filmografia[modifica]

Discografia[modifica]