Chez Madame Arthur

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File:Maslowa e LouLou nel programma di sala di Madame Arthur del 1963.jpg
Maslowa e LouLou nel programma di sala di Madame Arthur del 1963.

Madame Arthur, o più esattamente Chez Madame Arthur ("Dalla signora Arturo"), è stato un locale parigino fondato nel 1948, specializzato in spettacoli en travesti, che assieme al suo locale gemello, il "Carrousel", raggiunse fama mondiale negli anni Cinquanta e Sessanta.
Dopo la chiusura, avvenuta nel 1986, il marchio fu rilevato da una nuova proprietà, che ha riaperto seguendo la medesima formula e, nonostante varie vicissitudini e una nuova chiusura temporanea, è tuttora in attività.

Storia[modifica]

"Chez Madame Arthur" aprì nel 1948 al numero 75 bis di rue des Martyrs, a Parigi, avendo come modello l'"Eldorado" di Berlino (un cabaret con spettacolo dal vivo, chiuso dai nazisti nel 1933). Il suo fondatore era Marcel Wutsman, chiamato da tutti "Monsieur Marcel". Egli fu anche proprietario del "Carrousel" di Parigi, un altro locale notturno più esclusivo, in cui si esibivano le artiste più celebri del Madame Arthur.

Il locale di "Chez Madame Arthur" aveva già ospitato dal 1883 uno dei primi cabaret di Parigi, "Le divan japonais", gestito dal poeta Jehan Sarrazin. Nel 1892 la gestione era passata a Maxime Lisbonne, che vi aveva fatto debuttare la chanteuse Yvette Guilbert. Tra i grandi classici della Guilbert c'era la canzone "Madame Arthur", scritta nel 1850 dal romanziere Paul De Kock. In onore a questo successo della Guilbert, "Monsieur Marcel" decise di chiamare il suo locale proprio "Chez Madame Arthur", anche grazie alla possibilità di alludere in modo "innocente" alla pratica del travestitismo (rigorosamente mtf) che era la caratteristica dei suoi spettacoli.

A fare da padrona di casa e presentatrice era Maslowa, trans ex ballerina classica e vera anima del locale per quasi 30 anni.

Da un punto di vista della classificazione dell'epoca, "Madame Arthur" era un cabaret specializzato in numeri di burlesque en travesti, che offriva servizio ristorante per la cena. I suoi spettacoli dal vivo si rifacevano a una lunga tradizione teatrale di esibizioni canore e artistiche nelle vesti del sesso opposto (i cosiddetti "impersonatori"), sia maschili che femminili, ed erano animati da una troupe di artiste che dai primi anni Cinquanta comprese Capucine, Manon, Chantal Chambord, Wanda, Claude Carol, Lucrèce, Bambi, Lola Chanel e Coccinelle.

Coccinelle, tra le prime transessuali francesi, avrebbe addirittura iniziato una carriera internazionale, divenendo una delle figure femminili più note del jet-set durante gli anni Sessanta.

Il significato di un successo[modifica]

I non molto numerosi locali di spettacolo en travesti del dopoguerra[1] promettevano nelle loro pubblicità di "sbalordire" il pubblico, ingannandolo con una finzione indistinguibile dalla realtà.

In una società in cui la moda era ancora fortemente polarizzata e la "donna in pantaloni" faceva ancora notizia, locali di questo tipo rappresentavano isole di "trasgressione" tollerate dalle autorità, anche perché rivolte a un pubblico relativamente ristretto.

Con questa formula di "trasgressione per la classe media", "Madame Arthur" entrò nel rango delle "attrazioni" che ogni visitatore di Parigi che ne avesse i mezzi si riproponeva di visitare almeno una volta. Magari in compagnia della moglie o del marito[2].

Per queste caratteristiche, "Madame Arthur" non può essere considerato un vero e proprio "locale omosessuale" nel senso che diamo noi oggi a questa definizione[3], anche se in quel periodo la società tendeva a confondere omosessualità, travestitismo e transessualità nell'unico concetto di "terzo sesso". Come già l'"Eldorado", questo non era un locale "per" omosessuali, bensì un locale che letteralmente "metteva in scena" il "terzo sesso" a vantaggio d'un pubblico misto, in maggioranza eterosessuale. Ciò non toglie che avesse anche una clientela omosessuale, che apprezzava il fatto di potersi frequentare con discrezione in un ambiente in cui si dava per scontato che il pubblico fosse "per lo più" eterosessuale.

Da questo punto di vista, nella misura in cui alimentava il mito dell'esistenza del "terzo sesso", questi locali in qualche modo confermavano i pregiudizi sociali; sull'altro piatto della bilancia va però posto il fatto che essi svolsero anche un ruolo piccolo ma importante per la nascita della "questione trans" nel mondo occidentale. Essi infatti offrirono a un'avanguardia di trans un'opportunità di lavoro, per guadagnarsi da vivere, e soprattutto pagarsi la transizione, in un periodo in cui la sola alternativa esistente sarebbe stata la prostituzione[4].

A loro volta queste persone, rendendo pubblica la loro transizione, per la prima volta "diedero un nome" alla condizione trans anche per vaste masse di persone che fin lì avevano ragionato o in termini di Terzo sesso, confondendo omosessualità e transessualità, o in termini di "uomo-donna", confondendo intersessualità e transessualità.

Per quel che riguarda la comunità trans stessa, non può essere sottovalutato il ruolo svolto da questi locali e da queste artiste nel far conoscere alla massa l'arrivo sulla scena delle nuove tecniche chirurgiche e ormonali, che per la prima volta consentivano la riattribuzione anagrafica di sesso a pioniere come Roberta Cowell, Christine Jorgensen o appunto Bambi e Coccinelle.
Va da sé che lo scandalo mediatico generato da questo fenomeno, e il morboso interesse sessuale che lo circondò, fece a sua volta ampia pubblicità ai locali.

Chiusura e riapertura[modifica]

Nel 1986, il locale, ormai passato di moda, chiuse per una prima volta per più di un anno.
Il 27 aprile 1987 il locale riaprì sotto la gestione di Alvim Noronha, per cambiare nuovamente gestore dal 2007 e infine, dopo una chiusura di qualche anno, riaprire nuovamente nel 2015. Nella "nuova formula" il locale si vanta di proporre solo artist* dal vivo, cioè senza playback, e solo in numeri originali, e non in "cover" di canzoni del momento.

Note[modifica]

  1. Oltre ai due parigini, i più celebri furono il "Club 82" di New York e il "Finocchio's" di San Francisco
  2. Significativo il caso di Enrico Castelli Gattinara, Diari 1949-1955, CEDAM, 1998, p. 651, che fu portato a cena da Madame Arthur (che trovò: "Disgustoso. La psicologia di quelli che applaudono è misteriosa. Donne ed uomini plaudenti delle false donne col cerone e le scollature!"), dopodiché concluse la sua serata parigina andando ad ascoltare... canti bretoni!
  3. Anche se in quegli anni la cosa può essere stata percepita in modo ben diverso: nel libro di Sergio Colomba e Albert Dichy, L'immoralità leggendaria: il teatro di Jean Genet, Ubulibri 1990, in una testimonianza a p. 266, Chez Madame Arthur viene definito senza mezzi termini: "un ristorante-cabaret di Montmartre, un club omosessuale per uomini".
  4. Su ciò, si veda: Thiago Barcelos Soliva, Sobre o talento de ser fabulosa: os “shows de travesti” e a invenção da “travesti profissional”, "Cadernos Pagu", n. 53, 04 Oct 2018.

Voci correlate[modifica]

Bibliografia[modifica]

  • Marie-Pierre Pruvot (detta "Bambi"), Madame Arthur - J'inventais ma vie, Tome 2, éditions Ex Æquo, 2013 ISBN 9782359624465.
  • Marie-Pierre Pruvot, Le Carrousel - J'inventais ma vie, Tome 3, éditions Ex Æquo, 2013.
  • Marie-Pierre Pruvot, Frissons au Carrousel, nouvelles, éditions Ex Æquo, 2013.

Link esterni[modifica]