Ritratto del conte Giuseppe Manara

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File:Giovanni Carnovali, Ritratto del conte Giuseppe Manara.jpg
Giovanni Carnovali, detto il Piccio, Ritratto del conte Giuseppe Manara con il suo servitore, 1841 o 1842, collezione privata.

Il Ritratto del conte Giuseppe Manara è un dipinto di Giovanni Carnovali, detto il Piccio (Montegrino Valtravaglia, 1804 - Coltaro, 1873). Si tratta in realtà di un doppio ritratto, dato che in esso è raffigurato, in primo piano, il conte Manara e, arretrato, il suo amato servitore, un giovane di origine etiope. Il quadro risale al 1841 (o 1842) ed è attualmente conservato in collezione privata.

Giovanni Carnovali, detto il Piccio, Autoritratto, 1832, Galleria d'Arte Moderna di Milano

Il pittore

Giovanni Carnovali detto il Piccio fu un grande pittore lombardo della metà dell'Ottocento, apprezzato dai suoi contemporanei per le sue abilità di ritrattista. Nacque in provincia di Varese, in una località nei pressi di Luino, ma di lì a qualche anno la sua famiglia si trasferì ad Albino, nel bergamasco. Nel 1815 si iscrisse alla Scuola di Pittura dell'Accademia Carrara di Bergamo. A quel tempo direttore della scuola era il pittore d'origine cremonese Giuseppe Diotti (Casalmaggiore, 1779-1846), che ebbe grande considerazione dell'allievo e per tale ragione lo presentò alla buona società della sua città d'origine. Il Piccio fu dunque, nel corso dell'intera carriera, particolarmente amato dalla nobiltà e dalla borghesia di Cremona.

Il committente

Uno dei maggiori estimatori fu il nobiluomo cremonese, conte Giuseppe Manara: un segno evidente della sua stima sono i numerosi incarichi che egli nel tempo affidò al Piccio. [1]
Giuseppe Manara fu un tipico esponente di

« un ceto orientato al cosmopolitismo e sensibile al fascino dell'esotismo. Al pari di altri nobili cremonesi [..] aveva compiuto viaggi per le grandi città europee [..], in Medio Oriente e pure in Africa. [2] »

L'amore del conte Manara per i viaggi è testimoniato da un Carme epistolare che l'amico Giovanni Chiosi (1796-1871) pubblicò nel 1845. In tale poemetto, di oltre 900 versi, si descrivono minuziosamente la dimora del conte e la sua collezione di oggetti esotici e opere d'arte. Precede il testo una lunga dedica:

« A Giuseppe Manara, I.R. Guardia Nobile Lombarda, Cavaliere Gerosolimitano, d'ogni peregrina cosa che lettere, scienze e arti illustra e promuove solerte indagatore, raccoglitore generoso, onde sua casa ospitale e patria nobilmente arricchisce, pegno d'ammirazione e di stima, questo carme intitola l'autore.[3] »

I tesori di palazzo Manara descritti nel Carme epistolare includono una tigre, un coccodrillo e molti uccelli imbalsamati, un corno di rinoceronte, arnesi curiosissimi, una sella turca, una scacchiera d'agata, ecc. Tutti oggetti meravigliosi, che erano il frutto dei suoi numerosi viaggi e della sua curiosità per l'insolito. Ma dal viaggio in Africa il conte aveva portato con sé anche un ragazzo etiope, che a Cremona divenne suo servo gradito quanto fedel. Il giovane morì però prematuramente, con grande dolore del suo signore, ed è ricordato con intense parole nel Carme epistolare (vv. 460-466):

« E te non tacerò, servo gradito
quanto fedel, che dagli etiopi lidi
dedotto a noi per molto mar, la vita,
ahi diro fato, all'Eridano in margo,
degli anni tuoi sul più fiorente aprile,
abbandonavi, e ti seguia non scarsa
del tuo signor la lagrima pietosa
.[4] »

Giuseppe Chiosi racconta poi (467-472) che nella dimora del Manara è presente un ritratto, opera dello scultore Luigi Rizzola. [5] Una rappresentazione del giovane scomparso così efficace e realistica, da dare la sensazione che il suo sguardo si aggiri ancora per la stanza e le sue labbra palpitino di passione:

« E ancor qui vivi nell'immagin scura
che informando animò la sperta mano,
onde Cremona il suo Rizzola onora,
plastico ingegno; e ancor dal vigil occhio,
la stanza intorno intorno ansio cercando,
ride fra il bruno di tue labra amore
.[6] »

I versi dell'amico e poeta cremonese attestano dunque, senza alcun dubbio, l'intensità dell'affetto che Giuseppe Manara nutrì per il proprio servitore. E sono testimoni non solo delle molte lacrime versate dal conte, ma anche della volontà di conservare vivace la memoria dello scomparso attraverso la realizzazione di almeno due opere: la scultura di Luigi Rizzola e il quadro del Piccio.

Il quadro

Questa tela è del tutto insolita rispetto all'intera opera del Piccio per due caratteristiche, le quali si possono solo spiegare come conseguenza di precisi desideri del committente. Il primo elemento, di regola assente negli altri ritratti del Carnovali, è lo stemma della famiglia Manara, visibile in alto a sinistra e giustificato dal particolare interesse del conte per l'araldica e la storia del suo casato.[7] Il secondo elemento è invece la presenza di due figure sulla medesima tela, sostanzialmente un unicum. Infatti nell'intera, ricca produzione ritrattistica del Piccio questo è il solo doppio ritratto che si conosca. Come dire che il pittore si cimentò, nel corso della sua carriera, solo una volta in questa specifica variante del genere del ritratto. E, quell'unica volta, per esplicita volontà del committente.
Dunque è il conte Giuseppe Manara che chiede espressamente d'essere raffigurato in compagnia del suo giovane servitore.
Il doppio ritratto coglie i due individui in una atmosfera di placida serenità, il conte è disposto frontalmente, occupa buona parte dello spazio e indossa eleganti abiti civili. Alle spalle, sulla destra, compare il servitore, un giovane aggraziato ed elegantemente vestito, colto nell'atto di porgere una lettera indirizzata al proprio signore:

« All.Ill. S. Conte il S. N. H. D. Giuseppe Manara I. R. Guardia Nobile, Cavaliere Gerosolimitano, Cremona. [8] »


Giovanni Battista Moroni, Il conte Alborghetti e suo figlio, circa 1550


Giuseppe Ghislandi, detto Fra' Galgario, Ritratto di Giovanni Secco Suardo e del suo servo, 1720-1725

I modelli

Nonostante si tratti dell'unico doppio ritratto realizzato da Carnovali, questo quadro gode di modelli illustri, entrambi rintracciabili nella storia della pittura bergamasca.
Il primo è un quadro di Giovanni Battista Moroni, ora conservato presso il Museum of Fine Arts di Boston. Tradizionalmente considerato il ritratto del Conte Alborghetti e suo figlio, ora si preferisce interpretarlo come il ritratto di un borghese, magari uno stimato professionista, seduto al tavolo di lavoro e affiancato da un giovane servitore che gli porge una lettera.
Il secondo modello è invece un quadro di Giuseppe Ghislandi detto Fra' Galgario, conservato presso l'Accademia Carrara di Bergamo. Si tratta del ritratto del Conte Giovanni Secco Suardo con il suo servitore. In questo caso però, il giovane è il nobiluomo, mentre il servo è un adulto avanti negli anni. [9]
Il doppio ritratto del conte Giuseppe Manara si distingue però dai suoi modelli - indubbiamente tali dal punto di vista formale - perché riguardo a questi ultimi noi non conosciamo (in parte o del tutto) le identità delle persone rappresentate, ma soprattutto non sappiamo le ragioni - si presume affettive - che spinsero quei committenti a chiedere di condividere lo spazio del proprio ritratto con quello di un altro individuo. Ignote ragioni riguardo alle quali possiamo solo immaginare. Invece, per il ritratto del conte Manara e del suo servitore tutto è chiaro, documentato e non c'è alcun pericolo di attribuire all'opera un significato forzato.
Infine, a ulteriore rafforzamento delle precedenti argomentazioni merita ricordare che in anni recenti è riemerso un secondo ritratto - sempre del Piccio- di Giuseppe Manara e del suo servo. In questa seconda versione l'impostazione del doppio ritratto è la medesima - in primo piano il conte e a destra, arretrato, il giovane - ma gli abiti indossati sono del tutto diversi. Non più eleganti vestiti scuri, bensì una sgargiante divisa militare per il conte e una livrea orientaleggiante per il ragazzo. E in questo quadro colpisce pure che lo stesso colore rosso squillante sia utilizzato per la giacca del signore e il copricapo del servo. [10]

Il Manara ritrovato, Il Sole 24 Ore, domenica 3 novembre 2010, p. 40




Note

  1. Piccio, l'ultimo romantico, catalogo della mostra a cura di F. Mazzocca, G. Valagussa, Cremona, 24 febbraio - 10 giugno 2007, Silvana Editoriale, Milano, 2007, p. 44-46.
  2. Piccio, l'ultimo romantico, cit., p. 45.
  3. G. Chiosi, Carme epistolare, Tipografia Valentini, Milano, 1845.
  4. G. Chiosi, Carme epistolare, cit., pp. 22-23.
  5. Il testo del Chiosi non informa sulla materia utilizzata dallo scultore per tale opera. Tuttavia in una rivista d'epoca si definisce Luigi Rizzola artista abilissimo in ceroplastica.
  6. G. Chiosi, Carme epistolare, cit., p. 23.
  7. Piccio, l'ultimo romantico, cit., p. 46.
  8. Piccio, l'ultimo romantico, cit., p. 46.
  9. E. Venturelli, Fra' Galgario. La seduzione del ritratto nel 700 europeo, CulturaGay.it, https://www.culturagay.it/saggio/239
  10. F. Mazzocca e altri, Ritratto italiano dell'Ottocento a Padova, Il Sole 24 Ore, 3 ottobre 2010, n. 271, pp. 39-41. Si tratta di un approfondimento, a cura di M. Carminati, dedicato alla mostra Da Canova a Modigliani. Il volto dell'Ottocento, visitabile a Padova, Palazzo Zabarella, dal 2 ottobre 2010 al 27 febbraio 2011. A p. 40 compare un riquadro intitolato L'inedito. Il Manara ritrovato, in cui si legge:
    « Il Ritratto del conte Giuseppe Manara di Giovanni Carnovali detto il Piccio è stato sempre considerato uno dei capolavori della pittura italiana dell'Ottocento, per l'iconografia a quei tempi divenuta insolita (il nobiluomo lombardo è rappresentato insieme al suo giovanissimo servitore moro) e per la sua straordinaria qualità dell'esecuzione, che sembra anticipare - siamo nel 1842 - la scandalosa Olympia di Manet del 1863. Alla versione nota, dove i due personaggi sono vestiti in elegante abito scuro con camicia e jabot bianchi, si è ora aggiunta una nuova redazione inedita, della medesima dimensione, firmata e datata lo stesso anno, dove il pittore li ha canbiati d'abito e d'atteggiamento. Mentre il conte si pavoneggia nella sfolgorante divisa di guardia nobile del Regno lombardo veneto, con tanto di stemma fregiato dell'aquila bicipite ed insegna dell'Ordine gerosolimitano, il moretto indossa una livrea esotica atrettanto sgragiante e un copricapo rosso squillante. Alle due alternative cromatiche così antitetiche, corrisponde anche una diversa definizione psicologica. Nel ritratto ritrovato il Manara appare ancora più altero, quasi sprezzante, mentre il ragazzo ha sostituito all'atteggiamento pensoso e al sussiego un po' ironico un grande sorriso liberatorio che scopre la smagliante dentatura e si trasmette ai due occhietti vispi fissati con affetto sul padrone. »

Bibliografia

Link

Voci correlate