Passing women

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Voce a cura di Giovanni Dall'Orto e Saverio Aversa, liberamente modificabile.
File:Vizzani, Caterina (1718-1743).jpg
Caterina Vizzani (1718-1743), che visse sotto un'identità maschile la sua vita da adulto.

La definizione di passing woman (al plurale, passing women) viene usata, in storiografia (ma non esclusivamente) per indicare una persona a cui alla nascita era stato attribuito il sesso femminile, e che per una parte della sua vita, o addirittura per tutta la vita, aveva adottato il ruolo di genere maschile: tipicamente i vestiti, ma anche il nome e lo stato civile.

Il termine è nato nel gergo lesbico statunitense degli anni Cinquanta e Sessanta[1], da dove è successivamente passato ai testi storici dei "gay & lesbian studies" negli anni Settanta e Ottanta. Oggi, con l'articolarsi della visione dei ruoli di genere, si tende ad applicarlo solo a persone vissute prima della nascita del movimento lgbt, preferendo per le persone nostre contemporanee termini di volta in volta più specifici.

Origine

Il concetto di "passing" viene dall'inglese americano, dove il verbo "to pass" ("passare per" qualcun altro o qualcos'altro), era utilizzato per indicare un nero (in realtà, un mulatto) nel quale prevalessero i caratteri fisici ritenuti caucasici, e che quindi riusciva con successo a "spacciarsi per" un bianco[2], allo scopo di evitare la discriminazione razziale o addirittura la schiavitù.

Il travestitismo femminile

Il dottor Edward (per l'anagrafe, Mary) Walker, verso il 1911.

Il travestitismo non è mai stato visto di buon occhio nei paesi cristiani, anche in virtù della condanna biblica nel Deuteronomio: "La donna non si metta addosso abito da uomo, né l'uomo si vesta con abiti da donna, perché chiunque fa tali cose è in abominio presso il Signore, Iddio tuo".
Ciononostante il travestitismo maschile, che "degradava" la "naturale" superiorità del maschio, è sempre stato perseguito con maggiore zelo di quello femminile, essendo in qualche modo "comprensibile", per i nostri avi, che un essere a loro modo di vedere "inferiore" come una donna aspirasse a uno status "superiore", quale quello maschile. Casi di donne vissute in abiti maschili, addirittura sante o eroine come Giovanni d'Arco, sono ben noti agli storici, tuttavia il travestitismo femminile ebbe una certa diffusione nei Paesi del Nord Europa nel periodo che comprende due secoli: il XVII e il XVIII.
Il fenomeno, sotto forma della partecipazione di donne vestite da uomo ai conflitti che insanguinarono ininterrottamente l'Europa barocca, giunse ad ottenere una qualche forma di celebrazione dell'immaginario collettivo, come nota Laura Schettini:

« Tra la metà del Seicento e la metà dell'Ottocento le gesta di almeno cento donne-soldato sono state cantate in circa mille variazioni di ballate circolate in Gran Bretagna e America. Analogamente, dall'analisi di circa trecento testi teatrali messi in scena a Londra tra il 1670 ed il 1700, è stato calcolato che almeno ottantanove hanno rappresentato donne che sono diventate soldato[3]»

Il fenomeno subì un ridimensionamento dopo la Rivoluzione francese, che introdusse l'obbligo per i cittadini di munirsi di documenti d'identità, cosa che rese più difficili (anche se non impossibili) le falsificazioni dell'identità. La difficoltà del passing nell'Europa continentale s'è accentuata quando la fotografia è diventata abbastanza economica da permettere, ed esigere, di dotare di un'immagine tutti i passaporti e tutte le "Carte d'identità", la cui diffusione si generalizza nei primi decenni del XX secolo.
Tuttavia né l'Inghilterra né gli Usa hanno, a tutt'oggi, adottato il documento d'identità, e questo ha reso possibile che un certo numero di donne riuscisse a cambiare luogo di residenza iniziando una nuova vita con un'identità maschile. Soprattutto negli Usa i controlli sull'identità delle persone erano meno rigidi, e lì il fenomeno delle passing women si protrasse fino agli anni Venti del secolo scorso, favorito anche dall'afflusso costante di milioni d'immigrati, sulla cui esatta identità le autorità dimostravano un interesse abbastanza scarso, come dimostrano le migliaia di cognomi storpiati dalle autorità d'immigrazione. Inoltre in una comunità d'immigrati e nelle smisurate megalopoli americane veniva meno la conoscenza collettiva che invece era possibile nei piccoli centri agricoli, in cui viveva la gran parte della popolazione europea, nei quali un cambio di ruolo di genere non poteva passare inosservato. Infine, l'enorme diffusione del lavoro minorile rendeva tutt'altro che insolita la vista d'un giovane imberbe nei luoghi di lavoro.
All'inizio del XX secolo, però, anche grazie al ruolo della stampa che aveva fatto clamore attorno ad alcuni casi di passing women, la legislazione statunitense contro il travestitismo si fece più severa:

« Anche gli atteggiamenti pubblici verso le passing women cambiarono all'inizio del XX secolo, portando a prevedere pene più dure per il travestimento. In aggiunta alle più vecchie sanzioni legali contro le passing women, le nuove teorie mediche e psichiatriche etichettarono queste donne come "devianti sessuali"[4]»

Negli anni Trenta e Quaranta, infine, il fenomeno subì un'evoluzione, al termine del quale emerse una separazione fra la donna lesbica e mascolina, la butch, che si propose come elemento fondamentale della sottocultura lesbica in quanto tale, e il transessuale f-t-m, che si spinse all'adeguamento del corpo attraverso la somministrazione di ormoni e il ricorso alla chirurgia plastica. Pertanto, nel contesto odierno la definizione di passing woman non è più usata.

In Italia

Nell'Europa cattolica uno degli atteggiamenti che maggiormente attirano oggi l'interesse delle storiche e degli storici, il matrimonio con un'altra donna, era stato reso impossibile fin dal Cinquecento (con il Concilio di Trento) dall'istituzione dei registri matrimoniali, allo scopo di combattere il fenomeno della bigamia. Per sposarsi era necessaria un'attestazione delle parrocchie di nascita, il cui parroco doveva controllare che il registro dei matrimoni certificasse lo stato coniugale libero della sposa o dello sposo. Fernanda Alfieri ha studiato un caso italiano in cui un parroco, spinto dallo zelo di "regolarizzare" la situazione d'una coppia di forestieri concubini, aveva insistito affinché si sposassero nonostante non fossero in grado di produrre tale documento; una volta scoperto che il "marito" era in realtà una donna, il prete fu processato dall'Inquisizione per essere venuto meno ai suoi doveri.
Come ha notato Laura Schettini,

« Il fenomeno, come è già emerso in diverse occasioni, non ha avuto intensità uguale in tutti i Paesi. Diverse circostanze hanno concorso affinché in alcune zone si sviluppasse più copiosamente o fosse più duraturo nel tempo. Le società mercantili (...) ne sono state teatro in più larga misura di quanto lo siano state le realtà prevalentemente contadine. La maggiore mobilità sociale e geografica che caratterizza le prime, infatti, ha costituito un fattore propizio ai mutamenti di genere, dal momento che cambiare città, paese, vicinato è da sempre stato il passaggio propedeutico ad inventarsi una nuova identità.

In secondo luogo, laddove si è affermato prima l'uso di documenti di identità e dell'anagrafe civile, nonché nei Paesi cattolici dove dal concilio di Trento le parrocchie compilano i registri dello stato delle anime, dei battesimi, dei matrimoni e delle morti, i cambiamenti d'identità sono stati per ovvie ragioni assai più complicati e, quindi, meno frequenti[5]»

Simile, ma non assimilabile, a questo quadro è la figura della sbraia della cultura contadina calabrese, ossia una donna che assumeva il ruolo e quindi anche il vestiario del capofamiglia, magari approfittando della mancanza d'un maschio in grado di svolgere questo ruolo, e che poteva arrivare a scegliere un'altra donna come compagna[6]. In questo caso però la donna "passava" per uomo non con l'inganno, ma per una sorta di tacito consenso sociale, dato che il sesso attribuitole alla nascita era noto all'intera comunità, che le riconosceva l'adozione di un ruolo di genere maschile per una sorta di "stato di necessità". In realtà, però, il fatto che queste donne rifiutassero il matrimonio come soluzione alla "necessità" indica che di frequente si trattava di donne che oggi definiremmo lesbiche. Una figura sociale simile è stata presente anche nella cultura contadina albanese fino ad anni abbastanza recenti, scuscitando l'interesse degli antropologi.

Alcuni scandali, nel dopoguerra, riguardarono in Italia i casi di quelle che venivano definite "Donne-uomo", in casi portati agli onori della cronaca da un tentativo o da una promessa infranta di contrarre un matrimonio eterosessuale.

Galleria

Travestite, lesbiche, o f-t-m?

Il concetto di passing women è stato introdotto in storiografia prima dell'attuale successo del dibattito sul genere e crea quindi qualche difficoltà di traduzione nella terminologia attuale. Esso copre infatti un campo di comportamenti che potevano avere motivazioni molto diverse. Vi si trovano infatti donne con identità di genere femminile e orientamento eterosessuale che avevano scelto il travestitismo per avere accesso a professioni e lavori meglio pagati (che erano preclusi alle donne), come il dottore statunitense Edward (Mary) Walker. Nell'Ottocento esistette addirittura una piccola ma combattiva branca del movimento femminista che reclamava il diritto d'indossare abiti maschili, sia per motivi di praticità, sia per una questione di uguaglianza.

L'aspetto economico era spesso altrettanto importante di quello sessuale: per le lesbiche proletarie "passare" da uomo comportava un importante incremento del reddito e la possibilità di vivere senza doversi sposare con un uomo, in una società in cui il salario di una donna era, a parità di lavoro, tenuto deliberatamente a un livello più basso di quello di un uomo, in modo che non fosse sufficiente a una vita autonoma senza l'integrazione di un salario maschile:

« Le coraggiose donne che riuscivano a "passare" non solo guadagnavano più denaro per il medesimo lavoro; esse potevano anche aprire un conto corrente bancario, firmare assegni, possedere case o proprietà, e votare nelle elezioni locali e nazionali[7]»

Altre donne si vestirono da uomo per potere seguire il loro compagno eterosessuale nell'esercito, un caso che si è verificato più di una volta durante le guerre del Risorgimento italiano, e non solo su un fronte. In questi casi non sempre l'identità femminile della donna era ignota.
Altri casi, infine, erano veri e propri f-t-m con identità di genere maschile, nonché lesbiche butch che nel travestitismo vedevano una trasgressione ai ruoli di genere, pur non avendo necessariamente una identità di genere maschile (alcune di loro erano ciò che oggi definiremmo transgender).
Proprio l'eterogeneità delle figure che designa fa sì che questo termine sia ancora utile in storiografia, visto che spesso dall'esiguità delle notizie rimasteci (molte passing women sono state smascherate solo dopo la morte, quando la preparazione del cadavere per la sepoltura ne metteva a nudo il corpo, rendendo impossibile il racconto della loro storia e delle loro motivazioni) non è possibile capire quale fosse l'identità di genere della persona di cui si parla.
Sarebbe quindi scorretto fare tout-court di tutte le passing women delle transessuali f-t-m, ma altrettanto scorretto sarebbe considerarle tutte "semplici" travestite, nonché trattare, che è stato fatto in passato, le passing women come semplici lesbiche, dato che il loro comportamento fu in qualche modo "eccezionale" anche per gli standard di comportamento della loro epoca.

Bibliografia

Filmografia

Link esterni

Voci correlate

Note

  1. Così George Haggerty & Bonnie Zimmerman (curr.), Encyclopedia of lesbian and gay histories and cultures, Taylor & Francis, New York 2003, p. 572.
  2. In base alla teoria razzista adottata negli Usa, infatti, bastava un ottavo di "sangue nero", ossia un solo bisnonno su otto, a fare di una persona un nero, anche se gli altri sette non lo erano.
  3. Laura Schettini, Il gioco delle parti. Travestimenti e paure sociali tra Otto e Novecento, Le Monnier, Firenze 2011, p. 5.
  4. The San Francisco Lesbian and Gay History Project, "She even chewed tobacco: a pictorial narrative of passing women in America". In: Martin Duberman, Martha Vicinus & George Chauncey (curr.), Hidden from history: reclaiming the gay and lesbian past, Meridian, New York 1990, pp. 183-194, p. 192).
  5. Laura Schettini, Il gioco delle parti. Travestimenti e paure sociali tra Otto e Novecento, Le Monnier, Firenze 2011, p. 6.
  6. Su questo fenomeno si veda quanto scritto da Nerina Milletti, Calavrisella mia, facimmu 'amuri? La storia delle lesbiche contadine italiane attraverso le tradizioni orali, "Quir", n. 11, 1994, pp. 23-26.
  7. The San Francisco Lesbian and Gay History Project, "She even chewed tobacco: a pictorial narrative of passing women in America". In: Martin Duberman, Martha Vicinus & George Chauncey (curr.), Hidden from history: reclaiming the gay and lesbian past, Meridian, New York 1990, p. 185