Modifica di Museo Archeologico di Napoli

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[[File:Anfora etrusca con scena di sodomia 1836.jpeg|thumb|right|250px|Rappresentazione di Anfora etrusca con scena di sodomia da un testo del 1836]]
 
[[File:Anfora etrusca con scena di sodomia 1836.jpeg|thumb|right|250px|Rappresentazione di Anfora etrusca con scena di sodomia da un testo del 1836]]
NOTA  STORICA - Ci si può chiedere come mai un disegno dell’Ottocento che voglia riprodurre un reperto così particolare come questa anforetta, risulti infine tanto approssimativo ed impreciso da sorprenderci persino che sia stato pubblicato<ref>Famin, César (1799-1853), ''Musée royal de Naples, peintures, bronzes et statues érotiques du cabinet secret, avec leur explication'', Abel Ledoux, Paris 1836. Il testo è disponibile sul web a [https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k63310996/f7.item.texteImage.zoom questo link]</ref>. In realtà bisogna considerare due aspetti non irrilevanti. <br>
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NOTA  STORICA - Ci si può chiedere come mai un disegno dell’Ottocento che voglia riprodurre un reperto così particolare come questa anforetta, risulti infine tanto approssimativo ed impreciso da sorprenderci persino che sia stato pubblicato[5]. In realtà bisogna considerare due aspetti non irrilevanti. <br>
 
1) Le collezioni di arte e di antichità un tempo appartenevano ai re, erano un patrimonio personale del re; del resto l’origine delle stesse collezioni erano determinate dal desiderio di realizzare qualcosa che desse prestigio a sé e al proprio casato. Con la rivoluzione francese ed il successivo avvento dell’epoca napoleonica, molte case reali persero insieme al regno anche i loro possedimenti, collezioni d’arte incluse. Dopo la caduta di Napoleone, con il Congresso di Vienna le varie case reali riottennero indietro insieme ai loro regni anche le collezioni d’arte un tempo di loro proprietà. Se tutto ciò fu ristabilito, una cosa essi non poterono più ignorare: l’idea illuministica che oramai si era diffusa, che la cultura appartiene al popolo. Per questa ragione, con la restaurazione, le case reali furono obbligate a rendere accessibili a chiunque le loro collezioni d’arte private. E’ così che i più grandi musei d’ Europa vennero fondati in gran parte dopo il 1815. Le collezioni in essi contenuti restavano di proprietà del re, ma diventavano pubbliche, accessibili e fruibili a tutti e non più solo a nobili e reali.<br>  
 
1) Le collezioni di arte e di antichità un tempo appartenevano ai re, erano un patrimonio personale del re; del resto l’origine delle stesse collezioni erano determinate dal desiderio di realizzare qualcosa che desse prestigio a sé e al proprio casato. Con la rivoluzione francese ed il successivo avvento dell’epoca napoleonica, molte case reali persero insieme al regno anche i loro possedimenti, collezioni d’arte incluse. Dopo la caduta di Napoleone, con il Congresso di Vienna le varie case reali riottennero indietro insieme ai loro regni anche le collezioni d’arte un tempo di loro proprietà. Se tutto ciò fu ristabilito, una cosa essi non poterono più ignorare: l’idea illuministica che oramai si era diffusa, che la cultura appartiene al popolo. Per questa ragione, con la restaurazione, le case reali furono obbligate a rendere accessibili a chiunque le loro collezioni d’arte private. E’ così che i più grandi musei d’ Europa vennero fondati in gran parte dopo il 1815. Le collezioni in essi contenuti restavano di proprietà del re, ma diventavano pubbliche, accessibili e fruibili a tutti e non più solo a nobili e reali.<br>  
 
2) La stessa cosa avvenne nel Regno di Napoli, poi Regno delle Due Sicilie. Il 22 febbraio 1816 Ferdinando I decretava ufficialmente l'istituzione del "Real Museo Borbonico" nel quale confluirono le collezioni d’arte farnesiane ereditate da sua nonna Elisabetta Farnese, e quelle pompeiane derivate dagli scavi archeologici effettuati a Pompei ed Ercolano. Specialmente queste ultime davano un lustro particolare ai Borbone di Napoli per l’unicità dei reperti. Per questa ragione opere d’arte ed oggetti antichi del Museo Borbonico non solo erano un patrimonio personale del re, ma pure la loro pubblicazione era appannaggio esclusivo della casa reale che ne curava la conoscenza tramite gli splendidi volumi del “Le Antichità di Ercolano”. Va da sé che a nessuno studioso o artista che visitava il Museo era permesso di riprodurre in disegno o in pittura le opere esposte; addirittura per impedire che ne eseguissero anche dei veloci schizzi, era loro concesso di sostare davanti alle opere solo per un tempo brevissimo. Pertanto i disegni prodotti da questi personaggi erano realizzati solo a posteriori, in base alle impressioni ed osservazioni che essi erano riusciti a raccogliere e a fissare nella mente in un tempo limitatissimo di visione dell'oggetto. Naturalmente queste limitazioni così severe vennero col tempo allentate, dapprima con l’apertura al pubblico del Museo, ed ancora di più dopo il 1860 con l’unità d’Italia, quando le collezioni dei Borbone passarono di proprietà allo Stato italiano. Agli artisti che riproducevano le opere dal vivo (i cosiddetti “copisti”), con l’invenzione e l’avvento della fotografia a partire dalla metà Ottocento, si aggiunsero e diffusero viepiù le riproduzioni in foto.  
 
2) La stessa cosa avvenne nel Regno di Napoli, poi Regno delle Due Sicilie. Il 22 febbraio 1816 Ferdinando I decretava ufficialmente l'istituzione del "Real Museo Borbonico" nel quale confluirono le collezioni d’arte farnesiane ereditate da sua nonna Elisabetta Farnese, e quelle pompeiane derivate dagli scavi archeologici effettuati a Pompei ed Ercolano. Specialmente queste ultime davano un lustro particolare ai Borbone di Napoli per l’unicità dei reperti. Per questa ragione opere d’arte ed oggetti antichi del Museo Borbonico non solo erano un patrimonio personale del re, ma pure la loro pubblicazione era appannaggio esclusivo della casa reale che ne curava la conoscenza tramite gli splendidi volumi del “Le Antichità di Ercolano”. Va da sé che a nessuno studioso o artista che visitava il Museo era permesso di riprodurre in disegno o in pittura le opere esposte; addirittura per impedire che ne eseguissero anche dei veloci schizzi, era loro concesso di sostare davanti alle opere solo per un tempo brevissimo. Pertanto i disegni prodotti da questi personaggi erano realizzati solo a posteriori, in base alle impressioni ed osservazioni che essi erano riusciti a raccogliere e a fissare nella mente in un tempo limitatissimo di visione dell'oggetto. Naturalmente queste limitazioni così severe vennero col tempo allentate, dapprima con l’apertura al pubblico del Museo, ed ancora di più dopo il 1860 con l’unità d’Italia, quando le collezioni dei Borbone passarono di proprietà allo Stato italiano. Agli artisti che riproducevano le opere dal vivo (i cosiddetti “copisti”), con l’invenzione e l’avvento della fotografia a partire dalla metà Ottocento, si aggiunsero e diffusero viepiù le riproduzioni in foto.  

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