Differenze tra le versioni di "Il sacrificio di Isacco secondo Filippo de Pisis"

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Ma ecco l'Abramo di De Pisis: un giovane uomo a torso nudo, dotato di ampio torace e gambe lunghe, capelli neri e barba dello stesso colore; con la mano sinistra tiene ferma la sua vittima e con la destra impugna il coltello. Di segni di vecchiaia nemmeno l'ombra (solo la barba - finta - viene utilizzata per attribuire al giovane modello almeno un segno dell'età matura). E non basta, questo Abramo si è tolto la camicia come farebbe un uomo di fatica, ma per il resto è accuratamente vestito. Porta un berrettino a righe, da facchino o da marinaio? Sfoggia braghette azzurre, molto corte e molto attillate, e infine le lunghe gambe muscolose sono completamente coperte da un paio di calze rosse, se possibile, ancora più attillate dei pantaloncini soprastanti.<br>Si potrebbe un po' arditamente sostenere che questo dipinto si comporta come una poesia moderna, in cui - spesso - il titolo funziona da ''parola-chiave'', che rende intelligibile il testo sottostante, altrimenti sfuggente o ambiguo. Il titolo scelto dall'autore è, si badi bene, ''Il sacrificio di Abramo''. Un titolo che già di suo produce un poco di scompiglio, indicando l'''agente'' e non il ''paziente'' (come nella consuetudine), ma che almeno fornisce una pista per la corretta interpretazione. Infatti, se il giovane in ginocchio in primo piano induce a immaginare che si tratti di quell'episodio biblico, poi però l'aspetto di quello che dovrebbe essere Abramo è talmente incongruo e bislacco da produrre incertezza in chi osserva e sentire il bisogno della rassicurazione della didascalia.
 
Ma ecco l'Abramo di De Pisis: un giovane uomo a torso nudo, dotato di ampio torace e gambe lunghe, capelli neri e barba dello stesso colore; con la mano sinistra tiene ferma la sua vittima e con la destra impugna il coltello. Di segni di vecchiaia nemmeno l'ombra (solo la barba - finta - viene utilizzata per attribuire al giovane modello almeno un segno dell'età matura). E non basta, questo Abramo si è tolto la camicia come farebbe un uomo di fatica, ma per il resto è accuratamente vestito. Porta un berrettino a righe, da facchino o da marinaio? Sfoggia braghette azzurre, molto corte e molto attillate, e infine le lunghe gambe muscolose sono completamente coperte da un paio di calze rosse, se possibile, ancora più attillate dei pantaloncini soprastanti.<br>Si potrebbe un po' arditamente sostenere che questo dipinto si comporta come una poesia moderna, in cui - spesso - il titolo funziona da ''parola-chiave'', che rende intelligibile il testo sottostante, altrimenti sfuggente o ambiguo. Il titolo scelto dall'autore è, si badi bene, ''Il sacrificio di Abramo''. Un titolo che già di suo produce un poco di scompiglio, indicando l'''agente'' e non il ''paziente'' (come nella consuetudine), ma che almeno fornisce una pista per la corretta interpretazione. Infatti, se il giovane in ginocchio in primo piano induce a immaginare che si tratti di quell'episodio biblico, poi però l'aspetto di quello che dovrebbe essere Abramo è talmente incongruo e bislacco da produrre incertezza in chi osserva e sentire il bisogno della rassicurazione della didascalia.
 
[[File:DE PISIS LOTTATORI.jpg|left|thumb|200px|Filippo De Pisis, Lottatori, 1937, olio su tela, 46x38 cm, collezione privata.]]
 
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A mio parere, in questo quadro geniale non c'è alcuna risonanza di genere religioso o spirituale. Ritengo sia una rappresentazione di corpi che si incontrano/scontrano in un'atmosfera piena di energia vitale. E credo che questo valga anche per un'altra opera conservata presso il Museo Mari Rimoldi di Cortina d'Ampezzo; si tratta di un acquarello del 1931 semplicemente intitolato ''Soggetto sacro (figure), ma che secondo me è abbastanza chiaramente l'interpretazione di De Pisis del martirio di San Pietro Martire, inquisitore domenicano assassinato a Desio nel 1252. Anche in questo caso è la prestanza e la parziale nudità del carnefice ad occupare il primo piano e incombere sulla vittima che sta scivolando a terra.
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A mio parere, in questo quadro geniale non c'è alcuna risonanza di genere religioso o spirituale. Ritengo sia invece una rappresentazione di corpi che si incontrano/scontrano in un'atmosfera piena di energia vitale. E credo che questo valga anche per un'altra opera pure conservata presso il Museo Mari Rimoldi di Cortina d'Ampezzo: un acquarello del 1931 semplicemente intitolato ''Soggetto sacro (figure), ma che a mio parere rappresenta la scena del martirio di San Pietro Martire, inquisitore domenicano assassinato nei pressi di Milano nel 1252. Anche in questo caso è la prestanza e la parziale nudità del carnefice ad occupare il primo piano e a incombere sulla vittima che sta scivolando a terra.
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Se quindi ciò che caratterizza questi due dipinti di oggetto sacro è l'energia dei corpi, allora le opere, del medesimo artista, alle quali per indubbia affinità possono essere accostate sono quelle dedicate, un po' più numerose, dedicate a coppie di pugili o lottatori colti nel corso del combattimento.
 
==I modelli==  
 
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Per concludere, non credo proprio che ci sia uno specifico prototipo, rinascimentale o barocco, al quale De Pisis si sia rifatto. In ogni caso, la sensualità si era insinuata in questo episodio biblico con sempre maggiore decisione perlomeno a partire dal XVI secolo. La si percepisce nella nudità di Isacco (qui si veda la versione di Andrea Del Sarto) e nell'irrobustimento del fisico di Abramo, che gradualmente ringiovanisce e finisce col segnalare la sua vecchiaia solo attraverso la canizie. Ciò è particolarmente evidente nella tela del Domenichino, in cui pure possiamo - scherzosamente - riscontrare un precedente alle splendide calze rosse dell'Adamo secondo Filippo De Pisis.
 
[[File:Andrea del Sarto - Il sacrificio di Isacco (Prado).jpg|200px|thumb|right|Andrea del Sarto, Sacrificio d'Isacco.]]
 
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Filippo De Pisis, Sacrificio d'Isacco, 1940, olio su tela, 131,5x102 cm, Museo Mario Rimoldi, Cortina d'Ampezzo, Regole d'Ampezzo.

Il Sacrificio di Isacco è un dipinto di di Filippo de Pisis (Ferrara, 1896 - Brugherio, 1956). Si tratta di una tela di considerevoli dimensioni (131,5x102) che raffigura in maniera sorprendente, se non addirittura spiazzante, il noto episodio dell'Antico Testamento in cui Dio chiede ad Abramo una prova della sua fedeltà e sottomissione ordinandogli di sacrificare il figlio Isacco (Genesi 22, 1-18). De Pisis dipinse quest'opera (piuttosto insolita rispetto al resto della sua produzione) nel 1940 a Rimini. Attualmente è conservata presso il Museo d'Arte Moderna Mario Rimoldi di Cortina d'Ampezzo.

Il pittore

Filippo De Pisis, Brugherio, 1950, fotografia di Federico Patellani.

Filippo De Pisis si dedicò sia alla poesia che alla pittura. Furono però i quadri a renderlo famoso. E la sua opera pittorica ebbe presto molti estimatori in Italia e in Francia, dove visse a lungo. Sviluppò un modo di dipingere peculiare, una specifica maniera che caratterizza e rende facilmente riconoscibile la sua produzione. Ebbe una particolare predilezione per i generi della natura morta e del paesaggio. Non fece alcun mistero della sua omosessualità, e un altro tema ricorrente nei suoi dipinti sono i ritratti dei giovani modelli che incontrava casualmente e invitava a posare a casa propria. Visse a Roma (1919-1924), si trasferì poi a Parigi, dove fissò la propria residenza fino al 1939. Al rientro in Italia si spostò spesso da una città all'altra, inizialmente scelse di vivere Milano, ma poi, anche a causa dei bombardamenti, si spostò a Venezia, dove acquistò una casa. Luoghi in cui tornò spesso, anche se per brevi periodi, furono Rimini, Cortina d'Ampezzo e le località circostanti.[1]

Il committente

Per tale opera non esiste un vero e proprio committente. Nessuno che abbia avanzato una specifica richiesta o definito preliminarmente un compenso. Ma se attribuiamo al concetto di committente il significato più generico di incoraggiatore o esortatore, allora si può sostenere che un committente c'è a tutti gli effetti e si tratta dello scrittore Giovanni Comisso (Treviso, 1895-1969), intimo amico di De Pisis per gran parte della sua vita. Giovanni Comisso raccontò la loro amicizia nel volume intitolato: Mio sodalizio con De Pisis, edito per la prima volta da Garzanti nel 1954. In tale schietto reportage della vita dell'amico, Comisso scrive:

« Gli andavo ripetendo da tempo che oramai con la sua padronanza pittorica non doveva più insistere a fare i soliti quadri di fiori, i soliti paesaggi, le solite nature morte, aveva già dato prova di sapere affrontare con nuovissimo estro il ritratto, doveva ora imporsi la composizione con figure intere. Parve non accogliere il mio consiglio, ma ancora da Rimini mi scrisse (14 agosto 1940): Vivo in un delizioso alberghetto (albergo di Montefeltro) e un camerone trasformato in studio molto suggestivo dove faccio disegni in quantità e un gran quadro, Il sacrificio di Abramo. Non verrai a vedermi? Penso con piacere alla bellissima Chioggia. Godi e lavora. Poi mi raccontò la fatica sopportata per fare stare seri i due ragazzi che gli posavano, uno inginocchiato per terra e l'altro, con una barba finta, sopra, impugnando il coltello. Poco dopo fece un'altra grande composizione Oreste e Pilade e si affrettò a mandarmi fotografia.[...] Invano attese la mia venuta a Rimini, io ero travolto altrove. Mi scrisse: Primo giorno di ottobre grigio e magnetico.In questi giorni ho avuto la vaga speranza di vederti arrivare improvviso e leggero, ma so che è difficile viaggiare in automobile ora. Ho vissuto intensamente, spesso con gioia in questi giorni riminesi e ho molto lavorato, in una camera a pianterreno di un vecchio palazzetto che ti sarebbe piaciuto. Modelli splendidi in quantità.[2] »

E anche:

« [...] Da quando aveva lasciato Parigi le sue lettere erano mutate. [...] Certo anche per le sue lettere, come per la sua pittura, era finito un periodo e ne cominciava un altro. Nell'estate mi decisi di raggiungerlo a Rimini. [...] De Pisis mi abbracciò con gioia, volle subito si andasse allo studio a prendere il tè. Era in un magazzino e come nei suoi studi del tempo passato con poche cose di suo gusto aveva saputo renderlo strano e attraente.[...] Un giorno in questo studio servì un tè a signori della provincia suoi ammiratori con una disinvoltura straordinaria mentre nessuno sapeva dove petere stare seduto, ma egli con il suo parlare continuo li teneva in estasi. Conobbi anche Giacomino, il figlio della padrona di casa, che gli aveva posato per il Sacrificio d'Abramo.[3] »

Inoltre, nella biografia che Nico Naldini dedica a De Pisis, si legge:

« Pippo decide di andare al mare e a metà luglio è a Rimini con la sorpresa di ritrovarsi in una "Cannes d'Italie": gran lusso, luna park, rèclames luminose, radio, fiori e amori [...]. Il 2 agosto scrive a Raimondi: Questa vita semibalneare mi rende più pigro del solito. [...] Attacco domani il Sacrificio d'Abramo. Ho trovato un modellino splendido per Isacco, ma cerco il padre, crudele "snaturato" (pronuncia in napoletano!)[4] »

Il contesto

Questo quadro appartiene ad un nuovo periodo, quello del ritorno definitivo in Italia. Anche se De Pisis non si cura della situazione politica internazionale, sono proprio i tragici eventi del 1939 che lo costringono a lasciare Parigi, la città in cui ha vissuto per quasi un quindicennio. Ecco che cosa scrive Nico Naldini a proposito:

« Anche se le voci dello scoppio imminente della guerra si fanno più insistenti, Pippo non ha ancora preso nessuna decisione e vive come dentro a una nube serena. Non legge i giornali e non dà peso ai discorsi allarmistici. I fatti del giorno viene a conoscerli con una settimana di ritardo, mostrando sempre grandi meraviglie, ma per dimenticarli subito dopo. [...] Pippo dal canto suo è convinto che non scoppierà nessuna guerra; perché egli conosce bene i francesi e sa quanta poca voglia hanno di combattere. Smentito di lì a poco, alla fine di agosto è costretto a fare un precipitoso rientro in Italia. [...] La fuga dalla Francia e da tutto quello che per quindici anni ha costituito la sua vita e la sua arte, avviene senza drammi; anzi, con grande spirito di adattamento, ritornando "quasi celebre", Pippo è pronto a ricominciare da capo come un allegro apprendista. [...] La prima tappa in Italia è Milano, ma subito riparte per Cortina dove è stato invitato dall'albergatore collezionista Mario Rimoldi. Per un accordo con il suo ospite ogni quadro dipinto durante questo soggiorno resterà nelle sue mani in cambio di vitto e alloggio.[5] »

Fu un periodo di grande irrequietezza, già tipica degli anni parigini, ma che pare accentuarsi una volta rimpatriato:

« Dopo pochi giorni e senza nessun preavviso [...] Pippo scompare da Vicenza. Sulla porta della baracchetta che è servita da studio, un avviso tracciato col gesso informa che il maestro si è trasferito a Milano all'Albergo Vittoria in via Durini. [...] In questo albergo della sua "cattività milanese" Pippo occupa la stanza n. 69 [...]. Stesa sul pavimento in un angolo della stanza c'è la vecchia pelle di leopardo sulla quale fa stendere i suoi nuovi modelli: giovani atleti in rosa celeste e bianco, che Pippo riesce a scovare nelle palestre delle periferie con fiuto infallibile. Il suo campionario pittorico infatti continua a passare inalterato attraverso le tempeste della vita con fiori ragazzi e farfalle, essenze di vita molto simili fra loro. Le braccia e le gambe degli atleti spesso acefali non sono come i rami dei fiori o come la seta delle ali delle farfalle, di una identica bellezza fragile ed effimera?[6] »

La maniera di Filippo De Pisis non cambia dunque dopo il ritorno in Italia. Come scrive Naldini, egli continua imperterrito a dipingere fiori ragazzi e farfalle anche negli anni Quaranta. Mentre l'esortazione di Comisso ad andare oltre e a dedicarsi alla composizione con figure intere cade sostanzialmente nel vuoto. Ho sfogliato il catalogo - in due tomi - dell'opera di De Pisis e in effetti ho appurato che le composizioni con figure intere sono davvero poche in rapporto alla grande quantità di vasi di fiori, nature morte, paesaggi, ritratti e infine figure intere, ma pressoché sempre isolate. Cioè, tanti giovani uomini, raffigurati in piedi, seduti, sdraiati, ma sempre uno alla volta.[7] Nell'intero catalogo le uniche composizioni di figure intere sono: un altro Sacrificio di Isacco (olio su tela, 75x60, 1941). Un cartone del 1927 intitolato L'eremita e il pastore. E infine - se ho ben contato - sette dipinti con Lottatori o Pugilatori ripresi mentre combattono (opere realizzate tra il 1935 e il 1942). Certo il catalogo generale non ha censito davvero l'intera opera dell'artista, ma di sicuro ne è soddisfacente rappresentazione, anche dal punto di vista quantitativo. Si può quindi concludere che il Sacrificio di Isacco spicca sul resto della produzione come maggiore rappresentante di un filone tematico che De Pisis sfiorò appena, presto però abbandonandolo per tornare al suo consueto campionario pittorico.

Il quadro

Il sacrifico di Isacco, mosaico, XII secolo, Cappella Palatina, Palermo

Tenendo conto dei brani sopra riportati, pur con cautela, si può sostenere che l'opera venne realizzata a Rimini nella prima metà del mese di agosto del 1940. Il 2 agosto scrive infatti a Giuseppe Raimondi (Bologna, 1898-1985) che un modello l'ha trovato ma gli manca il secondo, mentre il 14 agosto comunica a Comisso che ha dipinto il quadro, molto probabilmente portandolo a termine, come di consueto, in breve tempo.[8]
Questo Sacrificio di Isacco è un vero divertimento Un quadro che l'artista si è divertito a progettare e a realizzare. Il gioco è particolarmente efficace se si confronta la versione irriverente di De Pisis con alcune interpretazioni tradizionali del famoso episodio biblico. Ho scelto come efficace prototipo uno splendido mosaico della Cappella Palatina di Palermo, realizzato nel XII secolo. Genesi alla mano, i componenti di quella storia, oltre a Dio, Abramo e Isacco, sono: un monte nella terra di Moria, due servi, l'asino, il fuoco, la legna, l'altare, il laccio per legare Isacco, il coltello per il sacrificio, l'angelo, il cespuglio e infine il montone impigliato per le corna. E nel mosaico siciliano sono ordinatamente presenti tutti gli elementi qui sopra elencati, non ne manca uno. Inoltre, dato che «Abramo aveva cento anni quando gli nacque Isacco» (Gen. 21,5), è giustamente rappresentato come un vecchio con barba e capelli bianchi. Mentre, sistemato sull'altare, Isacco indossa una tunica bianca, ha le mani legate ed è pure bendato.
Osserviamo ora la tela di De Pisis. Non è rimasto molto della lunga lista dei componenti della scena biblica! Innanzi tutto nessuna traccia dell'aspro e deserto paesaggio montuoso; al suo posto la pianura, si direbbe la pianura romagnola alle spalle di Rimini, e sul fondo si intravede pure una casina. Come dire che l'Abramo di De Pisis non si è neppure allontanato molto per compiere lo scandaloso omicidio. Certo, il cielo è nero, come per l'arrivo di un improvviso temprale estivo. Ma l'atmosfera può apparire cupa solo per quest'ultimo aspetto, il resto, non c'è modo di dirlo in altro modo, fa ridere (ridere di cuore). Quindi il monte non c'è; non ci sono i due servi, l'asino e neppure il montone con il suo cespuglio. C'è Isacco, ovviamente, nudo e a mani legate, ma è in ginocchio su una pelle di leopardo - invece che su un altare - la «vecchia pelle di leopardo» su cui da sempre fa stendere i suo modelli. Va detto che il giovane denudato per il sacrificio non è una novità iconografica, dal rinascimento in poi gli artisti lo preferiscono nudo, al massimo con il pube coperto da un drappo cascante (si veda qui sotto l'Isacco del Domenichino). Il centro del quadro e la fonte di ogni sorpresa è Abramo. Come si è ricordato, Abramo aveva cento anni alla nascita di Isacco, il figlio sopraggiunto in tarda età:

« Ora Abramo e Sara erano vecchi, avanzati in età e Sara aveva cessato di avere i corsi che sogliono avere le donne. Rise dunque Sara dentro di sé dicendo: Dopo di essere invecchiata mi darò al piacere? E anche il mio signore è vecchio. (Gen. 18,11-12) »
Filippo De Pisis, Soggetto sacro (figure), 1931, acquarello, 27,9x21 cm, Museo Mario Rimoldi, Cortina d'Ampezzo, Regole d'Ampezzo.

Ma ecco l'Abramo di De Pisis: un giovane uomo a torso nudo, dotato di ampio torace e gambe lunghe, capelli neri e barba dello stesso colore; con la mano sinistra tiene ferma la sua vittima e con la destra impugna il coltello. Di segni di vecchiaia nemmeno l'ombra (solo la barba - finta - viene utilizzata per attribuire al giovane modello almeno un segno dell'età matura). E non basta, questo Abramo si è tolto la camicia come farebbe un uomo di fatica, ma per il resto è accuratamente vestito. Porta un berrettino a righe, da facchino o da marinaio? Sfoggia braghette azzurre, molto corte e molto attillate, e infine le lunghe gambe muscolose sono completamente coperte da un paio di calze rosse, se possibile, ancora più attillate dei pantaloncini soprastanti.
Si potrebbe un po' arditamente sostenere che questo dipinto si comporta come una poesia moderna, in cui - spesso - il titolo funziona da parola-chiave, che rende intelligibile il testo sottostante, altrimenti sfuggente o ambiguo. Il titolo scelto dall'autore è, si badi bene, Il sacrificio di Abramo. Un titolo che già di suo produce un poco di scompiglio, indicando l'agente e non il paziente (come nella consuetudine), ma che almeno fornisce una pista per la corretta interpretazione. Infatti, se il giovane in ginocchio in primo piano induce a immaginare che si tratti di quell'episodio biblico, poi però l'aspetto di quello che dovrebbe essere Abramo è talmente incongruo e bislacco da produrre incertezza in chi osserva e sentire il bisogno della rassicurazione della didascalia.

Filippo De Pisis, Lottatori, 1937, olio su tela, 46x38 cm, collezione privata.

A mio parere, in questo quadro geniale non c'è alcuna risonanza di genere religioso o spirituale. Ritengo sia invece una rappresentazione di corpi che si incontrano/scontrano in un'atmosfera piena di energia vitale. E credo che questo valga anche per un'altra opera pure conservata presso il Museo Mari Rimoldi di Cortina d'Ampezzo: un acquarello del 1931 semplicemente intitolato Soggetto sacro (figure), ma che a mio parere rappresenta la scena del martirio di San Pietro Martire, inquisitore domenicano assassinato nei pressi di Milano nel 1252. Anche in questo caso è la prestanza e la parziale nudità del carnefice ad occupare il primo piano e a incombere sulla vittima che sta scivolando a terra. Se quindi ciò che caratterizza questi due dipinti di oggetto sacro è l'energia dei corpi, allora le opere, del medesimo artista, alle quali per indubbia affinità possono essere accostate sono quelle dedicate, un po' più numerose, dedicate a coppie di pugili o lottatori colti nel corso del combattimento.

I modelli

Per concludere, non credo proprio che ci sia uno specifico prototipo, rinascimentale o barocco, al quale De Pisis si sia rifatto. In ogni caso, la sensualità si era insinuata in questo episodio biblico con sempre maggiore decisione perlomeno a partire dal XVI secolo. La si percepisce nella nudità di Isacco (qui si veda la versione di Andrea Del Sarto) e nell'irrobustimento del fisico di Abramo, che gradualmente ringiovanisce e finisce col segnalare la sua vecchiaia solo attraverso la canizie. Ciò è particolarmente evidente nella tela del Domenichino, in cui pure possiamo - scherzosamente - riscontrare un precedente alle splendide calze rosse dell'Adamo secondo Filippo De Pisis.

Andrea del Sarto, Sacrificio d'Isacco.
Domenichino, Sacrificio d'Isacco.

Note

  1. Nico Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, Einaudi, Torino, 1991.
  2. Giovanni Comisso, Mio sodalizio con De Pisis, testo riveduto e corretto a cura di Nico Naldini, Neri Pozza Editore, Vicenza, 1993, pp. 95-96.
  3. Giovanni Comisso, Mio sodalizio con De Pisis, cit., pp. 101-102.
  4. Nico Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, cit. pp. 212-213.
  5. Nico Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, cit. pp. 207-209.
  6. Nico Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, cit. pp. 211-212.
  7. Giuliano Briganti, Daniela De Angelis, De Pisis. Catalogo generale, Electa, Milano, 1991.
  8. Nico Naldini, De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, cit. p. 199:
    « Pippo [è] famoso per la velocità con cui finisce i suoi quadri, tanto che un amico napoletano lo ha soprannominato "il nuovo Luca Giordano", il pittore che ai suoi tempi era famoso come "Luca fa presto". »

Bibliografia

  • De Pisis. Opere scelte dal Museo d'Arte Moderna e Contemporanea Mario Rimoldi delle Regole d'Ampezzo, catalogo della mostra a cura di Marco Goldin, Brescia, Museo di Santa Giulia, 21 gennaio - 26 marzo 2006, Linea d'Ombra Libri, Conegliano, 2006.
  • Giuliano Briganti, Daniela De Angelis, De Pisis. Catalogo generale, Electa, Milano, 1991.
  • Comisso, G., Mio sodalizio con De Pisis, testo riveduto e corretto a cura di Nico Naldini, Neri Pozza Editore, Vicenza, 1993.
  • Filippo De Pisis. La Figura umana, catalogo della mostra a cura di Luciano Caramel e Claudia Gian Ferrari, Dronero, Museo Mallè, 21 aprile - 8 settembre 2002, Edizioni Marcovaldo, Caraglio (Cuneo), 2002.
  • Filippo De Pisis. Opera grafica dalla collezione Malabotta, catalogo della mostra a cura di Luca Massimo Barbero, Mantova, Casa del Mantegna, 19 maggio - 30 giugno 1996, Il Cardo Editore, Venezia, 1996.
  • Naldini, N., De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, Einaudi, Torino, 1991.

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Voci correlate