Enrico Barzaghi

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Enrico Barzaghi

Enrico Barzaghi (1961 - Milano, 15 gennaio 1990) è stato un militante omosessuale italiano e sieropositivo dichiarato. E’ considerato tra gli uomini simbolo della battaglia per normalizzare della malattia in Italia.

Biografia

Enrico Barzaghi nasce nel 1961 figlio di Alberto Barzaghi, un architetto, e Ursula Rütter, originaria di Düsseldorf, e cresce con due fratelli, Elena e Marco. Il coming out in famiglia, secondo le dichiarazioni della madre Ursula Barzaghi che aderì ad AGEDO e presenziò a numerose trasmissioni TV testimoniando l’esperienza, avvenne attraverso una lettera:

« Enrico mi fece trovare apposta una lettera d' amore del suo amico, bellissima, nel libro che stavo leggendo; lasciò a me la scelta, ma la prima cosa che pensai, lo confesso, fu cosa diranno i vicini […]E' stato Enrico a educare me. Ora so che accettare è poco, bisogna condividere"[1] »

. Nel 1986 Barzaghi comunica la sieropostività alla famiglia[2]. Il 26 ottobre del 1989 decide di battezzarsi.

Poco prima della morte dichiara:

« I volontari [che assistono le persone malate,ndr.] hanno quasi sempre l’atteggiamento di aiutarti a superare l’aspetto morte, mentre le persone direttamente coinvolte a volte ci fanno sopra battutacce mostruose. Facciamole, fatele. Hanno un effetto più benefico e rilassante di tanti discorsi alla fine dei quali, dopo due ore di discussione, la si pensa come all’inizio. All’Asa, ci siamo sempre fatti tante risate insieme[3]»

Barzaghi muore a Milano a 29 anni il 15 gennaio del 1990.

Biorgrafia militante

E’ stato tra i primi omosessuali italiani a uscire a raccontare la sieropositività e a comparire in TV[4]. Aderisce all'ASA, Associazione solidarietà AIDS e riveste il ruolo di vice-presidente. Per Mattia Morretta:

« Nel volgere di pochi mesi dal suo ingresso nell’ASA ha bruciato tutte le tappe divenendo prima rappresentante delle persone sieropositive e poi vicepresidente, cariche in precedenza vacanti e puramente virtuali. Non ha soltanto ricoperto incarichi, ha pure creato nuovi spazi e si è dato da fare come nessun altro per aggregare persone e raccogliere fondi in ambito privato. Ha impresso all’Associazione un’accelerazione nel processo di definizione degli obiettivi e della propria identità sociale, permettendoci di uscire dall’atmosfera provinciale e retrograda del fenomeno Aids in Italia, proiettandoci a livello internazionale con l’aspirazione di parificare la nostra attività a quella di Paesi più organizzati nella battaglia contro l’Aids (il suo nome compare nelle mainlist di tutte le principali organizzazioni aids-correlate del mondo!)[5]»

Partecipa, nel 1989, alla Conferenza internazionale sull’Aids di Montréal, in Canada.

Approccio militante alla malattia

Più voci hanno sottolineato l'approccio inedito all'AIDS di Enrico Barzaghi che ha lavorato attivamente per conferire alla malattia un volto oltre che visibile, umano. L'obiettivo del militante voleva essere arrivare alla “normalizzazione” dell’AIDS, relegato alla marginalità, alla miseria e alla pericolosità sociale. Per Mattia Morretta:

« Enrico è stato molto più di quanto avessi mai potuto immaginare o elaborare nel tentativo di disegnare un’immagine positiva della persona con Aids. Mi ha sempre e comunque sorpreso, perché non solo ha indossato con grande disinvoltura e proprietà i panni di quella figura da me abbozzata, ma l’ha anche arricchita di originalità adattandola alla sua misura di uomo fuori dall’ordinario e l’ha sospinta oltre le mie supposizioni più azzardate[6]. »

Lo stesse Barzaghi ebbe a dichiarare:

« (è necessario, ndr.)fare in modo che la malattia non diventi protagonista della tua vita, ma che tu diventi protagonista della tua malattia. Puoi farlo anche giocando con la malattia, facendola diventare una vittima di te stesso. Divertirsi della propria malattia è un modo di scongiurarla o esorcizzarla, ma ti aiuta a convivere con essa, ti aiuta a vedere e prevenire, quasi a saggiare, gli aspetti molto negativi della malattia, che magari non hai ancora vissuto ma che possono far parte del tuo futuro. Quando poi li vivi, ti viene in mente la battuta e riesci a passarci attraverso anche in modo scherzoso. Accade davvero, non sono solo parole. L’ho verificato con molte persone in ospedale. Quando si scherza su queste cose, vengono poi davvero vissute con più spirito»

E' la madre di Barzaghi a stilare un bilancio dell'attività di sensibilizzazione del figlio nel libro autobiografico che sccrive alla sua morte[7]:

« Credo che quello che ha fatto Enrico, il modo in cui l’ha fatto, sempre con il volto sorridente, con civiltà, meritasse più attenzione da parte della stampa e del mondo laico, della cosiddetta sinistra a cui noi facciamo riferimento. Mi sembra invece che non ci sia stato nessuno spazio. Forse bisognava scendere in piazza a fare gesti clamorosi, per essere considerati con più attenzione. Questo permette al mondo cattolico di farsi avanti e appropriarsi anche di queste lotte in modo spesso strumentale»

.

Bibliografia

  • Enrico Barzaghi, Io credo nella vita e nell’infinito, in “Babilonia”, ottobre 1989, p. 27.
  • Massimo Consoli, sub voce: Enrico Barzaghi in , Killer Aids, Kaos ed., Milano 1993.
  • Ursula Rütter Barzaghi, Senza vergogna: una storia di coraggio contro l'AIDS, Tea, 1998.

Note

  1. Michele Smargiassi, Mamme dei gay unitevi, in “La Repubblica”, 9 febbraio 1992.
  2. F. Dianzani,G. Ippolito,M. Moroni (a cura di), Aids 1998. Il contributo italiano, Piccin, 1998, pp. 117-119
  3. Massimo Consoli, sub voce: Enrico Barzaghi in , Killer Aids, Kaos ed., Milano 1993.
  4. cf. Sebastian Rinken, The AIDS Crisis and the Modern Self: Biographical Self-Construction in the Awareness of Finitude, Springer Science & Business Media, 2013.
  5. Mattia Morretta, Enrico Barzaghi: Vedi alla voce amore, in "Babilonia", n. 76, 1990.
  6. Mattia Morretta, Enrico Barzaghi: Vedi alla voce amore, in "Babilonia", n. 76, 1990.
  7. Ursula Rütter Barzaghi, Senza vergogna: una storia di coraggio contro l'AIDS, Tea, 1998