Cause dell'omosessualità

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Uno degli aspetti più interessanti del dibattito relativo all'omosessualità è la cosiddetta questione delle "cause".

Nel corso dei secoli, numerosissime teorie sono state presentate per spiegare la ragione del comportamento omosessuale nell'uomo. Dall'influsso astrale alla punizione divina, dalla depravazione morale alla decadenza sociale, dall'influsso diabolico alla malattia psichica, da difetti di tipo ormonale o cromosomico a difetti della crescita della personalità, non esiste praticamente aspetto della vita umana che non sia stato usato per "spiegare" l'omosessualità.

Il dibattito sulle cause del comportamento omosessuale

Un elenco delle teorie fino ad oggi proposte non è inutile, perché fa parte della storia della cultura, e contribuisce a spiegare il motivo della difficoltà di accettazione sociale della persona omosessuale nell'ambito sociale.

Ma al tempo stesso non è inutile notare come la domanda delle "cause delle tendenze omosessuali" sia una domanda mal posta. La domanda corretta, infatti, riguarda le "cause delle tendenze sessuali" in genere. E non solo per quanto riguarda la razza umana, ma anche per quanto riguarda gli animali in genere, dato che occorre spiegare come un simile comportamento, non utile per la propagazione dei geni, abbia resistito alla selezione naturale e si riscontri presso tutti gli ordini animali che usano la sessualità per la riproduzione. Ma di questo diremo dopo avere esaminato le teorie correnti.

Tendenzialmente possiamo suddividere le teorie esistenti in due categorie, a seconda del tipo di fattore che si ritiene determini (o predisponga) l'orientamento sessuale.

  1. Alcune teorie fanno riferimento al cosiddetto determinismo biologico, secondo il quale sarebbero fattori biologici (ad esempio genetici o ormonali) a determinare o predisporre l'orientamento sessuale.
  2. Le altre teorie (ad esempio la psicoanalisi), sono riconducibili al dominio della psicologia e analizzano il comportamento e l'orientamento sessuale in termini di mente o di esperienze.

Alcune teorie non ricadono però fra quelle sopra elencate perché rifiutano il concetto stesso di "tendenza omosessuale", e quindi la ricerca delle sue "cause".

  • Da un punto di vista religioso, esistono teorie che spiegano il comportamento omosessuale in termini di "vizio".
  • Da un punto di vista filosofico/antropologico, alcuni studiosi analizzano la genealogia dell'orientamento sessuale, formulando ipotesi sull'origine di tutte categorie che descrivono la sessualità e criticandone l'espressività. Da queste considerazioni e da analoghe considerazioni sulla natura del corpo e della sua rappresentazione si sviluppa la cosiddetta "teoria queer".

Vediamo qui di seguito questi tre diversi approcci.

Teorie genetiche e biologiche

"Non accettare lezioni di sesso da chi dice che non ne fa". Ironico cartello al Bologna Pride 2012.

Alcuni studi hanno avanzato l'ipotesi che nella genesi dell'omosessualità possano essere coinvolti fattori genetici o biologici. In alcune vecchie ricerche sarebbero stati rinvenuti in omosessuali maschi livelli di androgeni più bassi del normale. Ma l'indirizzo recente delle più accreditate scuole di endocrinologia dimostra invece il contrario: non sussiste alcuna differenza di profilo e qualità ormonale tra i maschi omosessuali e quelli eterosessuali. In altri lavori è stata anche descritta una risposta anomala all'inoculazione di estrogeni con aumento della concentrazione di ormone luteinizzante.

Da ciò si è ipotizzato che gli estrogeni, qualora presenti in concentrazione normale durante lo sviluppo prenatale, siano capaci di determinare un orientamento sessuale caratterizzato da interesse nei confronti delle donne mentre una diminuzione di tali ormoni (od una insensibilità tissutale alla loro azione) determinerebbe la comparsa di un orientamento sessuale verso i maschi. È da riferire comunque che i dati ottenuti da questi studi non sono stati confermati da lavori successivi.

A sostegno dell'ipotesi descritta, comunque, vi è anche la constatazione che bambine sottoposte a livelli eccessivi di ormoni maschili durante la gestazione tendono ad essere più aggressive e meno femminili. Si è anche visto che in gruppi di donne con elevati livelli di ormoni surrenalici la quota di omo- o bi-sessualità tende ad essere maggiore rispetto al resto della popolazione.

Si è anche notato lo sviluppo di un carattere meno aggressivo in maschi che durante lo sviluppo hanno avuto livelli più elevati di ormoni femminili.

Studi sui gemelli hanno rilevato una maggiore concordanza di omosessualità tra gemelli omozigoti rispetto a quelli dizigoti. Pare, inoltre, che maschi omosessuali tendano ad avere un maggior numero di fratelli anch'essi omosessuali rispetto agli eterosessuali.

Sono stati pubblicati anche lavori che hanno ricevuto una forte attenzione dagli scienziati e dai mezzi d'informazione:

  • nel 1991, sulla rivista Science, apparve un articolo che riferiva che le cellule di una specifica regione dell'ipotalamo anteriore erano più piccole in maschi omosessuali e nelle donne rispetto ai maschi eterosessuali,
  • nel 1993, sempre sulla rivista Science, apparve un articolo che indicava come in un gruppo di 40 famiglie con due fratelli omosessuali venisse condivisa una regione subtelomerica del braccio lungo del cromosoma X,

Tutti questi lavori, comunque, non sono assolutamente conclusivi per stabilire se effettivamente l'omosessualità abbia o meno una base genetica e pertanto sono necessarie ricerche più approfondite.

Bibliografia

  • S. LeVay, A difference in hypothalamic structure between heterosexual and homosexual men., Science, 30 agosto 1991, 253(5023):1034-7.
  • D.H. Hamer, S. Hu, V.L. Magnuson, N. Hu, A.M. Pattatucci, A linkage between DNA markers on the X chromosome and male sexual orientation, Science, 16 luglio 1993, 261(5119):321-7.

Teorie comportamentali

Nell'ambito delle scienze del comportamento alcuni studiosi ritengono che l'orientamento omosessuale possa essere dovuto a problemi nella fase di riconoscimento-identificazione con il genitore del medesimo sesso. In quest'ottica l'omosessualità apparirebbe quindi come una alterazione del comportamento, che potrebbe essere modificata con una terapia mirata.

Teorie di altro tipo

Nel pensiero religioso

Il pensiero di tipo religioso in genere non riconosce la questione delle "cause" dell'omosessualità se non in quanto problema morale.

In altre parole, il pensiero religioso tende a non riconoscere (la parola "tende" è dovuta al fatto che all'interno delle singole chiese si riscontrano tesi spesso molto diversificate in proposito) l'omosessualità come una condizione in qualche modo "innata", e quindi rifiuta di riconoscere il comportamento omosessuale esclusivo come il frutto di una tendenza individuale, pari (se non addirittura di pari dignità) a quella che dà vita al comportamento eterosessuale esclusivo. Al contrario, il pensiero religioso tende a postulare una natura umana universale, unica e uguale per tutti gli esseri umani; a causa di tale postulato, quindi, chi abbia comportamenti contrari a quelli richiesti dalla "natura", lo farà per vizio o per scelta morale "contronatura".

Da questo punto di vista, per semplificare con un esempio, il comportamento omosessuale può essere paragonato non a quello di un mancino, che ha preferenze diverse in base a una "natura" diversa, bensì a quello del tossicomane che, è vero, è fortemente legato al bisogno di ripetere i gesti che gli procurano piacere, ma al tempo stesso non è legato alla sua condizione di tossicodipendenza da altro che non sia una mancanza di volontà morale di rinunciare a questo comportamento. Il suo non è certo un bisogno "naturale", o anche solo "connaturato" al suo essere, ma è un bisogno "esterno", che può essere combattuto e sconfitto, se ne ha la volontà. Nello stesso modo, l'omosesusalità risponde forse ad un bisogno, ma è un bisogno falso, estraneo alla natura dell'essere umano. Al contrario, per continuare con questo esempio, l'eterosessualità risponde al bisogno di mangiare o bere o dormire, che sono bisogni "naturali" e innati.

In base a questo ragionamento, l'omosessualità viene definita "contro natura".

A titolo di esempio di questo punto si vista si citerà qui il dottore della chiesa san Tommaso d'Aquino che affrontò il problema posto dai Problemata attribuiti ad Aristotele, che postulavano che il comportamento omosessuale potesse essere "connaturale secundum quid", cioè connaturato a una natura speciale di un individuo, ad esempio per una conformazione fisica diversa: "Contingit enim in aliquo individuo corrumpi aliquod principiorum naturalium speciei; et sic id quod est contra naturam speciei, fieri per accidens naturale huic individuo", cioè "Può accadere che in qualche individuo possa corrompersi qualcosa dei principii naturali della specie, e così ciò che è contro la natura della specie, diventi per accidente connaturale a tale individuo" (Summa theologica, I ii, 31, 7 co.). L'Aquinate risolve il dubbio affermando che ciò è comunque possibile solo nel caso di una natura corrotta. Prendiamo per esempio il caso di un malato di rabbia che provi disgusto per l'acqua, per quanta sete possa avere: il suo caso non implica affatto che sia "naturale" provare disgusto per l'acqua. Dunque, il comportamento omosessuale può essere "connaturato" solo secondo una natura malata, mai secondo la retta natura umana. L'atteggiamento di molte chiese cristiane, convinte del fatto che con la volontà e la preghiera sia possibile "guarire" dall'omosessualità (una convinzione espressa in associazioni che sono la loro emanazione, come Exodus International, Courage, e Living Waters, quest'ultima operante anche in Italia), presuppone alla sua base una spiegazione eziologica di questo tipo.

Nel pensiero postmoderno

Su un altro versante, frutto dell'approccio filosofico legato al postmodernismo (ad esempio nel decostruttivismo e nella sua specifica espressione legata al mondo omosessuale, la teoria queer), le categorie di omosessuale ed eterosessuale vengono postulate come mere "costruzioni sociali", frutto dei "discorsi del potere". Per questo motivo anche la teoria queer, come il pensiero religioso, ma per tutt'altri motivi, postula l'inesistenza della "tendenza sessuale", ritenendo tutti gli esseri umani egualmente predisposti a tutti i comportamenti sessuali. Solo l'educazione e la "educastrazione" modellano, secondo le esigenze del Potere, la sessualità umana, che per natura è liquida e cangiante, riducendone l'espressione ad una sola espressione, etero od omosessuale.

In questa ottica la questione delle "cause" dell'omosessualità non si pone, in quanto l'omosessualità non esiste, se non in quanto costruzione sociale e culturale, destinata però a scomparire dopo che la Rivoluzione avrà abbattuto le limitazioni, le definizioni e i limiti che sono stato creati artificialmente dal Potere.

Bibliografia

Link esterni

Problemi di metodo di ricerca

Cartello ironico al Bologna Pride 2012: "Sono etero ma il mio ex diceva di no".

Esaminando le teorie proposte per spiegare le cause dell'omosessualità, è evidente l'assenza di un nucleo minimo di dati che riesca ad ottenere il consenso di una maggioranza dei ricercatori. Da questo punto di vista, quindi, è lecito affermare che al momento attuale la "causa" dell'omosessualità non è nota, e che a proposito abbiamo, per ora, unicamente ipotesi.

Questo non vuol dire che sia filosoficamente impossibile arrivare a dare una risposta a questa domanda. Significa solo che, al momento attuale, nessuna teoria eziologica è riuscita a raggiungere il livello minimo di verificabilità richiesto dalla scienza per definire "vera" una teoria.

Il limite di queste ricerche è stato, finora, la ricerca di una spiegazione della genesi dell'omosessualità che prescinde dalla domanda sulla genesi dell'eterosessualità. Una parte eccessiva di tali ricerche postula infatti l'eterosessualità come un dato che esiste in sé e per sé, che non ha bisogno di spiegazioni, che non ha uno sviluppo, che non ha una storia diacronica ma è un dato fisso, eterno, uguale a se stesso da tutti i secoli e nella vita di ogni singolo individuo. Il che equivale, dal punto di vista metodologico, a voler spiegare cosa sia il ghiaccio rifiutando di sapere cosa siano l'acqua o il vapore: un approccio scientifico che postulasse, a priori, che acqua e ghiaccio sono realtà diverse, non studiabili contemporaneamente, non otterrebbe in effetti "spiegazioni" più di quante ne abbia ottenute la ricerca sulle cause dell'omosessualità.

Una ricerca sulle cosiddette "cause" dell'omosessualità potrà quindi ambire ad uno status scientifico soltanto se:

  • riesce a spiegare lo sviluppo della intera sessualità umana, e non solo della piccola frazione che si esprime in modo omosessuale. Da questo punto di vista, quindi, gli studi dovrebbero essere indirizzati in primo luogo a capire la genesi dell'eterosessualità, che è il comportamento sessuale prevalente nella società. Viceversa, la ricerca su questo tema non suscita alcun entusiasmo. In questa anomalia si riscontra un bias (distorsione) da parte dei ricercatori, che evitano di studiare ciò che la società giudica in-discutibile, concentrando la ricerca su ciò che invece è giudicato "controverso". In tal modo però si pretende di comprendere l'eccezione senza avere una chiara idea di quale sia la regola. Questo non è un metodo scientifico valido, e non a caso dopo un secolo e mezzo di studi non si è ancora avuto alcun risultato indiscutibile.
  • riesce a spiegare la presenza della tendenza omosessuale all'interno del mondo animale. Qualunque spiegazione eziologica che si limiti al solo dato culturale ignora il fatto che l'omosessualità esclusiva è stata osservata in moltissime specie animali. Qualunque spiegazione che si limiti al solo dato biologico, invece, ignora il fatto che la sessualità è, per la razza umana, un dato niente affatto "puramente biologico", ma è fortemente plasmato dalla cultura. Dunque, una spiegazione eziologica deve essere in grado, per essere soddisfacente, di tenere presenti entrambi questi aspetti. Cosa che nessuna delle proposte presentate fino ad oggi è stata in grado di fare.
  • riesce a spiegare quale sia il vantaggio riproduttivo che consente al comportamento omosessuale di non essere eliminato dalla selezione naturale. Infatti, se non esistesse un elemento vantaggioso nel fattore, qualunque esso sia, che causa l'omosessualità esclusiva, allora non si spiegherebbe la sua perpetuazione, nonostante essa incida sull'aspetto su cui la selezione naturale è massimamente sensibile: la riproduzione. Da questo punto di vista, il modello teorico della spiegazione potrebbe essere simile a quello che spiega in quale modo i difetti genetici causa delle talassemie non sono stati eliminati dal pool genetico delle popolazioni viventi nelle aree colpite dalla malaria. In forma omozigote, infatti, il gene difettoso provoca anemia e morte, ma se è presente in una sola copia, allora conferisce alla prole resistenza alla malaria. Chi invece non possedesse affatto il gene difettoso sarebbe maggiormente soggetto ad ammalarsi e morire di malaria, e quindi perpetuerebbe meno i propri geni, per quanto essi siano "sani".

Il problema epistemologico è stato espresso in modo chiaro, sia pure paradossale, da Helena Cronin, Il pavone e la formica, Il Saggiatore, Milano 1995, p. 378:

"Consideriamo lo sconcertante comportamento evoluzionistico dell'omosessualità. Esso potrebbe essere un adattamento, come hanno suggerito alcuni autori (per es. Trives, R.L., Parent-offspring Conflict, in "American Zoologist", 14 1974, p. 261; Wilson, E. O., Sociobiologia: la nuova sintesi, Zanichelli, Bologna 1979, pp. 561-562; Wilson, E. O., On Human nature, Harvard University Press, Cambridge 1978, pp. 142-147), o una patologia, come ha sostenuto da molto tempo la maggior parte degli esponenti della professione medica.
Ma (secondo Ridley, Mark e Dawkins, Richard, The natural selection of altruism, in Rushton, J.P. e Solentino, R.M. (a cura di), Altruism and helping behavoir, Lawrence Erlbaum, Hillsdale, New Jersey 1981, pp. 32-33), se esistono "geni dell'omosessualità", potrebbero essere geni che, nel nostro ambiente pleistocenico - che differiva dal nostro mondo moderno sotto alcuni aspetti cruciali (come per esempio il fatto di dormire sempre con i genitori e mai da soli) - dovettero esprimersi in modo del tutto diverso, forse come una capacità utile di percepire l'odore della preda o di arrampicarsi rapidamente su alti alberi.
Non si devono ovviamente prendere sul serio i particolari di questo esempio fantasioso, mentre va preso sul serio il modello di come dobbiamo concepire l'espressione fenotipica".

Bibliografia

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La cancellazione dell'omosessualità dagli elenchi di malattie mentali dell'APA e dell'OMS

La revisione del 1973

Nel 1973 l'influente American Psychiatric Association (APA) prese atto dell'assenza di prove scientifiche che giustificassero la precedente catalogazione dell'omosessualità come patologia psichiatrica, cancellandola dal suo elenco delle malattie mentali, il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. La decisione arrivò solo dopo un sofferto dibattito, durato decenni, aperto dalle ricerche di Evelyn Hooker (soprattutto dal suo fondamentale "The adjustment of the male overt homosexual", del 1957), e accelerato da un'azione di contestazione da parte di psichiatri vicini alle idee del neonato movimento di liberazione omosessuale. Il capofila di questa battaglia fu lo stimato psichiatra (non gay) Judd Marmor (1910-16 dicembre 2003), autore di numerosi studi in materia di omosessualità, che sarebbe successivamente stato presidente dell'APA nel 1975-1976.

L'opposizione alla revisione

Tuttavia alcuni psichiatri, guidati da Edmund Bieber e Charles Socarides, contestarono aspramente la revisione dell'elenco, sostenendo che l'omosessualità è sempre una patologia e che è possibile (anzi, è doveroso) curarla. Allo scopo di contrastare la revisione dell'elenco delle malattie mentali avanzarono inoltre una richiesta insolita, ottenendo che la cancellazione dell'omosessualità fosse sottoposta a un vero e proprio referendum tra tutti gli iscritti all'APA. Il referendum, tenuto per posta, confermò comunque la decisione favorevole alla cancellazione. Gli oppositori della decisione continuarono comunque, dentro ed anche fuori dell'APA, la loro battaglia per il reinserimento dell'omosessualità nell'elenco delle malattie mentali, fondando a tale scopo apposite organizzazioni internazionali molto attive e molto ben finanziate, in genere d'ispirazione religiosa, quale il Narth, la en:National Association for Research and Therapy of Homosexuality nato nel 1992, oggi presente anche in Italia, che lotta "perché sia garantito agli omosessuali il diritto a farsi curare". Religiosa è anche l'ispirazione dei principali studiosi che oggi criticano tale decisione, come il filosofo cattolico Joseph Nicolosi (presidente del Narth), o il gesuita e psichiatra Gerard van den Aardweg.

La cancellazione viene spesso criticata da associazioni come il sopra citato Narth obiettando che la condizione di malattia mentale non si decide in base a un voto a maggioranza. L'obiezione è sensata, ma tace il fatto che furono gli oppositori della revisione, e non i sostenitori, a chiedere una procedura anomala quale un referendum, rifiutando le procedure normali in questi casi.

L'ulteriore revisione del 1987: omosessualità "ego-sintonica" ed "ego-distonica"

A tutto ciò va aggiunto il fatto che, contrariamente a quanto si crede, l'omosessualità non fu affatto cancellata in quanto tale dal manuale dell'APA, tant'è che fino al 1992 fu negata l'iscrizione delle persone dichiaratamente omosessuali all'APA. In un primo momento, infatti, dall'elenco fu depennata solo la cosiddetta "omosessualità ego-sintonica", ossia la condizione dell'omosessuale che accetta la propria tendenza e la vive con serenità. Viceversa, nell'elenco dell'APA rimase fino al 1987 la "omosessualità ego-distonica", ossia il caso della persona omosessuale che non si accetta come tale; a questa persona i terapeuti potevano continuare a proporre cure mirate alla trasformazione in eterosessuale.

Questa decisione, giudicata di compromesso, oltre a non soddisfare gli oppositori della cancellazione, suscitò molte critiche sia del movimento di liberazione omosessuale, sia di una parte consistente degli iscritti dall'APA, secondo i quali il compito della loro professione era aiutare l'"omosessuale ego-distonico" a diventare "sintonico", ossia ad accettarsi come tale, e non modificarne la tendenza sessuale. Tale contestazione si basava sul fatto che le ricerche compiute in quegli anni, sottoponendo a revisione critica le nozioni date per scontate nei decenni precedenti, stavano evidenziando numerosi problemi metodologici che ne mettevano in dubbio l'attendibilità scientifica.

I motivi scientifici della cancellazione

Fra i difetti e le forme di bias più comuni apparivano:

  1. limitatezza del campione studiato. Alcune teorie erano state formulate su campioni ridottissimi, anche inferiori alle dieci persone, e i risultati erano statisticamente non significativi.
  2. mancanza di un gruppo di controllo. Alcune teorie erano state formulate senza verificare se le condizioni riscontrate in persone omosessuali fossero presenti anche in un gruppo di controllo di persone eterosessuali di condizione simile. In altri casi il gruppo di controllo era presente, però era stato confrontato un campione di omosessuali con disturbi psichiatrici e un campione di eterosessuali privi di disturbi.
  3. bias di selezione del campione di studio. La gran parte degli studi sugli omosessuali era stata compiuta su pazienti psichiatrici, e i disturbi da essi provati erano stati attribuiti all'omosessualità. Gli studi di Evelyn Hooker su omosessuali non psichiatrici, al contrario, non riscontrarono differenze sulla percentuale di persone ben integrate ("well adjusted") che era presente nel campione di omosessuali e nel campione di controllo, composto da eterosessuali non psichiatrici. Un'altra forma di bias consisteva nell'accettazione in terapia solo di pazienti bisessuali o "sessualmente confusi" (per esempio prostituti adolescenti), con l'esclusione degli omosessuali "confermati". In questi casi, la percentuali di "guarigioni" risultava altissima, ma solo per il fatto che le persone "in cura" non erano mai state omosessuali.
  4. bias di altro tipo. L'argomento dell'omosessualità, che è stato oggetto per secoli di pregiudizi radicati, richiede un approccio particolarmente cauto per evitare che i pregiudizi influiscano sui risultati finali. In una situazione del genere, la scienza applica il procedimento del "doppio cieco". Nel caso delle ricerche sull'omosessualità, invece, questo metodo non era stato praticamente mai usato.
  5. mancanza di follow-up. Alcuni terapeuti vantavano altissimi tassi di "guarigione" di omosessuali, che pubblicizzavano anche attraverso pubblicazioni dirette al grande pubblico. Molti però omettevano di riferire se col passare del tempo i pazienti fossero tornati o meno al loro comportamento precedente. Alcune ricerche in tal senso andavano rivelando percentuali significative di ritorno al comportamento omosessuale.
  6. non replicabilità degli studi. Semplicemente, l'elevata percentuale di "guarigioni" vantata da un certo autore non aveva luogo quando la medesima terapia veniva tentata da altri suoi colleghi.

La credibilità e l'efficacia delle terapie dell'omosessualità venne quindi messa in questione fra gli stessi iscritti all'APA da tutti questi motivi assieme, e non da un unico motivo, fosse pure un'azione di lobbying da parte del movimento di liberazione omosessuale statunitense.

Il quale effettivamente giudicava come la prova d'una discriminazione l'assenza nel manuale diagnostico di una corrispondente categoria per l'"eterosessualità ego-distonica", e chiedeva la cancellazione pura e semplice dell'omosessualità dal manuale stesso.

Tuttavia, descrivere (come fa il Narth) la decisione dell'APA quale "cedimento" di fronte alle proteste del movimento gay si può fare solo a patto di cancellare i risultati di alcuni decenni di ricerche scientifiche. La decisione dell'APA ebbe infatti basi scientifiche e non politiche, anche se è corretto affermare che la pressione politica esercitata dal movimento gay contribuì ad accelerare il processo decisionale, evitando le lungaggini burocratiche che si riscontrarono invece nel caso dell'OMS.

Il DSM dell'OMS e le revisioni del 1974 e 1994

In questo secondo caso, l'omosessualità era stata inclusa nel primo DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 1952) fra i "disturbi sociopatici di personalità"; nel 1968 il DSM II la classificava come "deviazione sessuale" insieme a pedofilia, necrofilia, feticismo e transessualismo, infine nel 1974 fu eliminata l'omosessualità ego-sintonica dal DSM III, ma vi fu aggiunta l'omosessualità ego-distonica.

Dal DSM, che fa testo in tutto il mondo, l'omosessualità ego-distonica sarebbe stata cancellata soltanto con decisione presa il 17 maggio 1990, destinata ad entrare in vigore a partire con la promulgazione della nuova edizione del DSM IV, il 1 gennaio 1994.

Situazione attuale

Dopo la cancellazione dell'omosessualità ego-distonica dalla lista dell'OMS, la posizione ufficiale del mondo scientifico, sia negli Usa, sia negli altri Paesi occidentali, ivi inclusa l'Italia, è che l'omosessualità costituisce "una variante del comportamento sessuale umano".

Il compito dell'operatore della salute mentale (psicologo, psichiatra, psicoterapeuta) di fronte a un caso di omosessualità ego-distonica è pertanto aiutare il paziente ad armonizzare la sua tendenza con il resto della personalità in modo ego-sintonico, e non quello di modificarne la tendenza.

Posizioni in contrasto con questo enunciato sono contrarie alla posizione ufficiale degli albi professionali degli operatori della salute mentale.

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Bibliografia

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Bibliografia generale della voce: Cause dell'omosessualità

  • Joseph Nicolosi, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, con presentazione di Chiara Atzori e postfazione di padre Livio Fanzaga S.P., trad. it., Sugarco, Milano 2002, pp. 182. Sostiene che l'omosessualità è una malattia, e come tale può essere curata. L'autore è cattolico, ed è il presidente del Narth. Una dettagliata recensione elogiativa è sul sito "Alleanza cattolica".
  • Gerard Van den Aardweg, Omosessualità e speranza, Ares, Milano 1985. Opera di un gesuita, sostiene le stesse tesi di Nicolosi.

Voci correlate

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