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Scansione (fare clic due volte sull'immagine per ingrandirla alla massima risoluzione) di: Domenico Bartoli, (Le memorie di Victor Serge ex-bolscevico). Rivelazioni di spie e cospiratori, "La stampa", 19.06.1949, p. 3.
Accenna ad André Gide e alla sua battaglia solitaria in difesa dell'omosessualità.

Trascrizione OCR

LE MEMORIE DI VICTOR SERGE EX - BOLSCEVICO
Rivelazioni di spie e cospiratori Vita disordinata e drammatica - Delusione dell'esperienza comunista - Figure misteriose tra i rifugiati trotzkisti - I cioccolatini avvelenati - Gide e Malraux

(Dal nostro corrispondente) Parigi, 18 giugno.

Victor Serge, scrittore politico, romanziere e agitatore, ha lasciato un curioso diario che la rivista di Sartre, «Les temps modernes», pubblica in parte nel numero di giugno. La sua vita fu avventurosa. Cominciò a entrare nelle cronache come anarchico e fu compromesso persino nel processo della banda Bonnot. Questi gangsters del primo '900 prendevano atteggiamenti eroici e rivoluzionari, che colpiranno anche uno scrittore di estrema destra come Leon Daudet. Una parte delle loro terribili rapine serviva a sostenere le magre finanze degli anarchici francesi. Così la polizia cercò di compromettere il giovane idealista Victor Serge, hi quel complesso intreccio delittuoso e di farlo condannare. Poi Serge fece un passo verso destra: aderì al socialismo rivoluzionario, al comunismo, alla Russia di Lenin. Era un progresso nel senso dell'ordine e della disciplina, per uno che era nato anarchico. Nel suo cielo la stella di Marx oscurava la stella romantica di Bakunin,

Amico di Trotzki Morto Lenin, Berge fu coinvolto nella lotta per la successione impegnata fra Stalin e tutti gli altri capi bolscevichi, che si fecero battere uno alla volta, separatamente, dall' astutissimo georgiano. E cosi dovette lasciare la Russia e cominciare una difficile vita d'esilio. Era amico di Trotzki e presentò all'occidente, in una elegante traduzione francese, la « Storia della rivoluzione russa », opera maggiore del luogotenente di Lenin. Oscillò poi tra la politica e il romanzo, fra la letteratura e la cospirazione: l'ultimo suo libro, «L'affaire Toulaev», che è uscito da poco tempo, postumo, riprende i motivi di «Buio a mezzogiorno». L'aspetto più curioso di questa vita disordinata e drammatica è l'epilogo. Berge era diventato quasi un uomo di destra, compiendo un'evoluzione simile a quella di Sorel. Le sue simpatie per il mondo operaio erano sempre vive, ma la delusione patita attraverso l'esperienza comunista dominava i suoi sentimenti e le sue opinioni. Era, fondamentalmente, un anticomunista, e preferiva i più aspri conservatori a chiunque manifestasse anche le più tenui simpatie per i bolscevichi. I comunisti francesi definiscono se stessi come «il partito dei fucilati», alludendo alle vittime che hanno effettivamente avuto sotto l'occupazione. Berge pensava ai suoi amici uccisi in Russia per ordine di Stalin e rovesciava la definizione: «E' il partito dei fucilatori», diceva. Da una certa solidarietà ideologica con la banda Bonnot ad una chiara solidarietà pratica con i partiti conservatori, la strada è molto lunga. Il diario, almeno nella parte pubblicata, non ci permette di ripercorrerla tutta, ma illumina un tratto importante: gli anni fra il 1936 e il 1938, quelli della guerra in Spagna e delle repressioni staliniane.

Serge non credeva alla quarta internazionale che Leone Trotzki cercava di organizzare senza una vera base fra gli operai. Vivendo fra i rifugiati trotzkisti e non trotzkisti e fra gli intellettuali di sinistra, che in quegli anni cominciavano a diffidare del comunismo staliniano, guardava intorno a sé con occhi piuttosto scettici. Era un vecchio soldato deciso a combattere fino aiultimo, ma senza più l'illusione di poter vincere. Quando un altro ex-comunista, l'italiano Angelo Tasca, detto Rossi, gli confida il suo scoraggiamento: «Guarda quel vecchio farabutto di Cachin: quante bassezze ha compiuto e come lo applaudiscono! Il loro partito è più forte del nostro dopo anni di turpitudini», Serge risponde: «Faremo i conti su tutto, un giorno»; ma si affretta ad annotare, tra parentesi: «Che ne so io?». Queste venti pagine sono zeppe di figure misteriose. Ecco Krivitski, detto Walter, agente sovietico che non è rientrato in Russia, ma che non vuole nemmeno «tradire la rivoluzione» e lavorare con gli oppositori. Si incontrano in un caffè delle parti di Montparnasse: «Si è accorto che quando metteva la mano in tasca per cercare le sigarette io l'osservavo attentamente: — E' naturale che lei diffidi di me; ma saremmo contenti di morire tutti e due per la stessa causa — mi ha detto. Ho risposto: — Non proprio la stessa ». Ad un secondo appuntamento come quello, la persona non viene. Si tratta, questa volta, di un altro agente della polizia russa, chiamato Ludwig, che ha deciso di passare all'opposizione: «A mezzogiorno compro un giornale e trovo un trafiletto nel quale leggo che un certo Eberhardt, di nazionalità ceka, è stato trovato morto, crivellato di proiettili, su una strada vicino a Losanna, con un biglietto ferroviario per la Francia in tasca. Non ci possono essere dubbi». Al posto di Ludwig arriva a Parigi la moglie con una bambina di dieci anni, sfuggite «ai cioccolatini avvelenati portati da G. S.».

Paura e impotenza Ma l'altro agente, Krivitski, o Walter, sapeva della condanna di Ludwig? Lo sapeva e lo ammette. « Tentò di avvertirlo per telefono"! Non poteva parlargli apertamente, ma lo chiamava senza interruzione e quando l'altro staccava il microfono per rispondere, lui riattaccava: doveva capire. Walter aveva assistito a una riunione, convocata in un caffè di Parigi, da un inviato straordinario di Mosca, nella quale l'esecuzione venne decisa ». Walter ha paura di essere ucciso alla sua volta, per questo evita di pronunciarsi pubblicamente contro Stalin: non vuole nemmeno dichiarare i nomi delle spie che lavorano fra gli emigrati politici: « Avevo un uomo nel vostro partito che non mi ricordo come si chiamasse. E' venuto in casa vostra il giorno tale, l'avete ricevuto nel vostro studio...» Queste cose avvenivano nel '37. Nel '38 l'ambiente degli esuli non cambia. E' sempre lo stesso mondo indifferente, sospeso fra la paura e la temerarietà, dominato dall'angoscia e dall'impotenza. Serge lo descrive con pochi tratti efficaci e sommari e non è possibile dubitare della sua sincerità perche sono appunti scritti sul momento, senza scopo di pubblicazione, s rimasti cosi nel cassetto dello scrittore. Nel '38 compare Agabkov, già capo della polizia segreta in Oriente. Ha rivelato i nomi dei suoi agenti, fra i quali un addetto all'ambasciata francese a Costantinopoli. « Viveva a Costantinopoli come commerciante, con passaporto persiano e un considerevole conto in banca. Ma fuggendo tenne per sè soltanto mille sterline, che, secondo lui, gli erano dovute. A Costanza in Romania, si cercò di rapirlo, un uomo venne ucciso, e lui fece arrestare gli agenti sovietici. Denunciò alla Siguranza (la polizia romena) i servizi segreti che aveva organizzato. Aveva tradito perché si era innamorato di una inglese che gli insegnava la sua lingua: dopo la sua fuga si stabilì con lui a Bruxelles.

Ma Serge non frequentava solamente cospiratori ed ex spie. Questo era il sottosuolo della sua vita, la parte oscura e drammatica: sopra si svolgeva la sua attività di scrittore, di conferenziere, di giornalista. Troviamo tra la fine del '36 e il principio del '37 un ritrattino di André Gide, al momento del famoso «Retour de l'URSS». Come si ricorderà, lo scrittore francese tornò dalla Russia profondamente deluso e deciso di pubblicare i suoi giudizi, rompendo cosi pienamente col comunismo. Volle vedere, allora, Victor Serge per confidarsi con lui, e gli anticipò le impressioni che doveva poi raccogliere in due libretti famosi. Qualche particolare interessante risulta dal diario di Serge: «La legislazione sovietica contro gli omosessuali — racconta Gide — è di una stupida crudeltà. Dissi che ne avrei parlato a Stalin e subito sentii che avrei perduto l'occasione di vederlo».

Quella di Gide — spiega Serge — fu un'azione coraggiosissima: la sua seconda azione coraggiosa dopo l'aperta difesa dell'omosessualità. Il comunismo aveva dato una impressione di popolarità, un contatto con le moltitudini, a uno scrittore che aveva avuto, fino allora, solamente la ammirazione degli uomini colti: Gide rinunciò a tutto questo. Previde che Malraux avrebbe preso il suo posto e cosi fu. Ma adesso Malraux è passato all'estrema destra, in cerca di nuove moltitudini, o delle stesse, diversamente organizzate e mosse. E Gide, invece, non vuole più moltitudini e comizi, chiuso nella solitudine di rue Vaneau.
Domenico Bartoli

Fonte

Archivio storico de "La stampa": http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,3/articleid,0003_01_1949_0146_0003_24456946/

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